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Per Karl Unterkircher

August 26, 2019 | News | No Comments

Dedicato all’amico Karl Unterkircher, da Ivo Rabanser suo compagno di scalate e sogni sulle pareti delle Dolomiti.

La scomparsa di Karl Unterkircher ci ha lasciati attoniti, sgomenti. Non poteva essere altrimenti, non può che essere così. E come spesso abbiamo scritto, in queste occasioni non ci sono parole né scritte né dette per misurare la perdita. Gli alpinisti lo sanno bene, conoscono questi momenti… per loro e di loro resta il ricordo della condivisione di una passione e la certezza di una speranza: questa è ed era la loro “vita”.

Mentre pubblichiamo questo ricordo dedicato a Karl, Silvio Mondinelli e Maurizio Gallo stanno raggiungendo il campo base del Nanga Parbat per cercare di portare soccorso a Walter Nones e Simon Kehrere, ieri ancora impegnati nella difficile fuga verso l’alto che dovrebbe consentirgli di uscire dalla parete e raggiungere una linea di discesa sicura. E’ una lotta dura e complicata quella che si sta svolgendo sul Nanga Parbat, una battaglia per la salvezza che tutti stiamo seguendo con il fiato sospeso. Forza!

Dedicato a Karl
di Ivo Rabanser

Conobbi Karl più di vent’anni fa, sulle piste della Val Gardena. Mi colpì da subito la sua sciata, sicura ed ugualmente agressiva. Era regale sulla neve. Scivolava via incurante degli ostacoli, leggero e con guizzo. Diventammo amici, con quella spontaneità con cui stringono amicizia due ragazzi di diciassette anni. Ci trovavamo spesso nei locali di Selva, poiché a quell’età non si vive solotanto di montagna. Ricordo che una sera, fattasi tardi, volle accompagnarmi a casa in macchina. Quella notte parlammo a lungo dei sogni che avremmo voluto realizzare. Karl si era affacciato da poco all’alpinismo ed era elettrizzato dal mondo che gli si stava schiudendo. In modo pacato e sempre sorridente. Aveva trovato la sua dimensione e non vi avrebbe più rinunciato. Per nulla al mondo.

Insieme salimmo diversi itinerari sul Sella. Era il periodo “Sturm und Drang”, in cui saggiammo le nostre possibilità, mentre gradualmente si profilavano le nostre inclinazioni. Il bello della montagna è che ogni persona vi può trovare il suo giardino segreto, da coltivare con passione, per poi vederlo prosperare. Dopo il servizio militare Karl iniziò ad allenarsi metodicamente. Era attratto dalle grandi pareti e voleva presentarsi al loro cospetto ben preparato. Modesto – di quella autentica modestia così rara fra gli umani – aveva un approccio naiv alla montagna, così come nella vita. Dalle Dolomiti passò senza inibizioni alle Occidentali. Roccia, ghiaccio, misto, neve, dominava su ogni tipo di terreno. Mentre inanellava salita dopo salita, accrescendo sempre più il suo bagaglio d’esperienza. Divenne sempre più forte, deciso, risoluto.

Visse la sua passione per la montagna in modo imperioso, senza mezze misure. Puntando dritto a quelli che erano i suoi obiettivi. Nelle Dolomiti tracciò una serie di prime ascensioni senza mai forare la roccia. Ma le sue velleità erano rivolte sempre più verso l’alta quota. La professione di Guida Alpina gli permetteva di passare buona parte del tempo nell’ambiente che gli si era rivelato più congegniale e dove aveva potuto trovare la sua vera altezza.

Nel 2004 l’epica cavalcata che lo consacrò definitivamente sull’Olimpo dei grandi alpinisti: scalò l’Everest ed il K2, senza ossigeno e nell’arco di una sola stagione. Ricordo che prima di partire per il K2 venne a trovarmi a casa, parlandomi dell’esperienza sul tetto del mondo con quella sua abituale semplicità, così come se si fosse trattato di una scampagnata qualsiasi. Gli donai un libro sulla storia del colosso himalayano verso cui si stava avviando.

L’anno scorso surclassò questo prestigioso primato con l’impresa sulla temuta parete Nord del Gasherbrum II. Quando poi tornava a casa in Val Gardena, non vedeva l’ora di rimettere le mani sulla dolomia. E spesso ci incontravamo su per le crode, sia nell’ambito della nostra professione, che inseguendo i propri miraggi. E allora capitava di rimembrare i tempi ormai passati, oppure di pianificare qualche salita da compiere insieme. Sul Sassopiatto uno spigolo poderoso aveva attirato la nostra attenzione e quando sarebbe tornato dalla spedizione ci avremmo messo le mani…

Quella notte in macchina, tanti anni fa, Karl mi confidò che desiderava conoscere l’Himalaya e salire le vette più alte del mondo. Penso che abbia potuto realizzare tanti dei suoi sogni. E questo è un privilegio riservato a non tutti gli uomini.

Ivo Rabanser

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Valli torinesi, condizioni cascate di ghiaccio

August 26, 2019 | News | No Comments

Aggiornamento del 06/01/2008 sulle cascate di ghiaccio nelle Valli torinesi (Valle di Viù, Vallone di Arnas, Val Soana).

Oltre al carbone, quest’anno la Befana, ha portato nelle Valli Torinesi ed Aostane sino a 40 centimetri di nuova neve piuttosto umida che sono andati ad assommarsi alle precipitazioni dei giorni precedenti.

In concomitanza a queste nevicate, un generalizzato aumento delle temperature suggerisce di attendere alcuni giorni affinché i pericoli ad esse connessi si riducano. Eccezion fatta per la Val Varaita dove la poca neve caduta, unita a temperature sempre piuttosto basse, ha permesso il regolare svolgersi dell’attività. In ogni caso anche in questa valle alle ore 18.00 del giorno 6 gennaio la temperatura al rifugio Savigliano risultava essere di + 4 gradi. Notizie pervenute da Lavatelli, Montrucchio, Sanguineti

Valli di Lanzo (Valle di Viu, Vallone di Arnas)
Vallone di Arnas – Parte alta della Valle
Info e foto risalenti al 31-12-2007 ci presentano le condizioni della bastionata della Torre.
– Magia del sogno sembra in condizioni
– The commitment non formata
– La dura Faccia della realtà difficoltà di M.. da confermare e sembra meno fornita di ghiaccio dello scorso anno
– L’altra faccia dell’amore sembra in condizioni
– Il cero di Natale sembra in condizioni
– Birthday Ice la candela non tocca
Attualmente la neve caduta non consente un approccio sicuro alla loro base ed impone almeno 3h e 30 min di marcia.
Vallone di Arnas – Parte bassa della valle
– Cattedrale di Cristallo II/4 +
– Peraciaval III/3
– Un giorno di ordinaria Follia II/5
Valle di Viù (Valle Centrale)
– Cascata del Compleanno a dx della Chandelle Gastik (non formata)

Valli di Lanzo (Val Grande)
– Cascate di Sagnasse II/3 in condizioni mediocri ma salibili.

Val Soana
– Cristal d’Arques in condizioni
– Spada di Damocle in condizioni
– Cascata di Forzo in condizioni ma molta neve

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Il 22 maggio 2010 Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti e Marco Appino hanno hanno aperto “Plein Sud”, nuova via sulla selvaggia e incredibile parete Sud delle Grandes Jorasses (Monte Bianco). In tutto oltre 900m di VI d’ambiente, WI4+/5R, M6+.

Ci sono ancora grandi pareti da esplorare sulle Alpi? La domanda potrebbe sembrare retorica, tanto si è affermato che chi "sa vedere" trova sfide ed avventure anche dietro l’angolo di casa. Ma, a guardar bene, proprio scontata non è, visto che le nuove ascensioni e la voglia di misurarsi dentro le pieghe più scomode e selvagge delle nostre montagne non sono poi così frequenti. E’ per questo che ci piace presentare la nuova via aperta da Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti e Marco Appino (3 italiani + 1 francese di origini italiane) sull’immensa e severa – quanto rarissimamente frequentata – parete Sud delle Grandes Jorasses, circa 200m piu’ alta della famosa Nord.

La loro "Plein Sud" termina a poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey. Percorre dapprima i 450m di goulottes della "Direttissima – Gianni Comino Memorial Route" o "Phantom Direct", aperta nel 1985 da Giancarlo Grassi, Renzo Luzi e Mauro Rossi. Dove Grassi & C. avevano traversato a sinistra, Plein Sud prosegue invece pressoché diritta lungo i 250 m circa del couloir centrale, fino al gran camino che nascone un’incassatissima goulotte di ghiaccio e dry-tooling. Il tutto, realizzato dopo un bivacco a poca distanza dalla crepaccia terminale, ma anche e soprattutto dopo un’attesa e uno studio della parete durati anni: per cogliere il momento giusto, quell’attimo che, se ti sfugge, rende queste pareti inafferrabili.

Plein Sud, infatti, raccoglie l’eredità visionaria di Grassi e Comino. Quella loro "pazza" e per certi versi "insana" passione per i couloir fantasma, quelli che – lo dice la parola stessa – si formano solo in particolari condizioni, o, meglio, quasi mai. Insomma: una situazione da cogliere al volo, ma anche da saper leggere e interpretare. Ultimo particolare — per capire bene di cosa stiamo parlando: quella di Plein Sud è la 5a salita della parete Sud delle mitiche Grandes Jorasses! Prima l’avevano "cavalcata" solo le cordate di: Guido Alberto Rivetti, Francesco Ravelli ed Evariste Croux (nel 1923); di Albert Rand Herron sempre con Evariste Croux (nel 1928); di Alessandro Gogna e Guido Machetto (nel 1972) e dei già citati Giancarlo Grassi, Renzo Luzi e Mauro Rossi (nel 1985). A questo punto, vale la pena rimandarvi al report dell’ascensione, di Marcello Sanguineti, e alla storia della parete Sud, scritta da Luca Signorelli

“NULLA È PIÙ POTENTE DI UN’IDEA IL CUI MOMENTO È GIUNTO”
di Marcello Sanguineti

La frase di Victor Hugo sembra far da sfondo al racconto di Gian Carlo Grassi sull’apertura della “Gianni Comino Memorial" (Grassi/Luzi/Rossi) sulla parete S delle Grandes Jorasses (La Rivista Mensile del CAI novembre-dicembre 1985, pp. 575-579) e, 25 anni più tardi, alla nostra realizzazione di “Plein Sud”. È il 1985 quando, dopo una lunga attesa e un paio di tentativi falliti, vede la luce una via-simbolo dell’alpinismo di ricerca. Nota anche come “Phantom Direct”, questa via – non ancora ripetuta – rappresenta l’archetipo della ricerca dell’effimero che caratterizzò l’alpinismo di Gian Carlo. È sulle sue orme che Sergio, Michel, Marco ed io abbiamo realizzato la nostra personale ricerca della “linea fantasma” per eccellenza, una di quelle linee magiche che si rivelano raramente negli anni e solo per pochi giorni. Ma quando compaiono, diventano parte integrante della parete: come un urlo che, a lungo taciuto, finalmente esplode.

?Da anni Sergio teneva d’occhio la Sud delle Grandes Jorasses. La osservava durante le uscite con gli sci da fondo in Val Ferret, la binocolava da ogni punto che ne potesse svelare i segreti. La chiave della salita era lassù, nel grande camino. Ma non c’era verso di sapere se quel diabolico colpo di sciabola inferto alla parete nascondesse una goulotte. L’unico modo per scoprirlo era salire fino a trovarsi a tu per tu con “il mostro”. Così come fecero Gian Carlo e soci, occorreva osservare e attendere. Guardare e aspettare. Studiare i 1200 metri che precipitano sul ghiacciaio di Pra Sec e lasciare che le temperature, il ghiaccio e la meteo offrissero l’occasione propizia. Poi, finalmente, sferrare il colpo, giocarsi tutto in una sola mano, l’unica concessa dalla parete.

?Il momento giusto sembrava arrivato l’ultima settimana di aprile. Vista da La Thuile, la parete era pronta ad offrire un’opportunità. Ma Sergio ed io non eravamo stati abbastanza veloci a coglierla, a causa di impegni di lavoro e della difficoltà di trovare uno o due altri soci. In queste occasioni chi tergiversa è punito e così è accaduto a noi. Arrivato il brutto tempo, per  un paio di settimane le condizioni in quota non invogliavano certo a fare un tentativo. Poi, finalmente, ecco ritornare l’anticiclone, insieme a temperature accettabili. Ma anche in questo caso, abbiamo rischiato di perdere il treno. I soliti impegni di lavoro non ci hanno consentito di sfruttare le due giornate più propizie, in quanto più fredde (mercoledì 19 e giovedì 20 maggio). Tutto sembrava esser saltato quando, all’ultimo momento, siamo riusciti a mettere insieme due cordate: Sergio e Michel, Marco ed io. Il tavolo di poker era al completo: noi quattro e lei, la “linea fantasma”.

?Venerdì 21 maggio, partiti alle 14:30 dagli chalets di Tronchey, verso le 19 siamo a un centinaio di metri dalla terminale, sotto una parete rocciosa, in un buon posto da bivacco. Due di noi vanno in perlustrazione fino alla terminale. L’idea iniziale era quella di portarsi in alto già il primo giorno, per bivaccare all’inizio del couloir centrale, dove la Grassi/Luzi/Rossi traversa a sinistra. Purtroppo, però, a quell’ora le prime goulottes sono trasformate in vere cascate d’acqua. In compenso, scopriamo che la terminale è semplicissima da superare. Incredibile! E pensare che, prima di vederla da vicino, eravamo rassegnati a giochi di equilibrismo, corde fisse e chissà cos’altro per superarla…

?Rientrati al posto da bivacco, mettiamo la sveglia verso l’una e un quarto e partiamo alle due di sabato notte. I primi 450 metri di goulotte, fino a WI4+, se ne vanno veloci, al buio, di conserva assicurata. Nella cascata della “forra”, come la definì Grassi, non vogliamo rischiare inutilmente e facciamo un bel tiro, che, dopo un’altra trentina di metri più facili, porta nel canale di accesso al gran camino, che si sviluppa con pendenze sui 50°.

?Verso le 7 siamo alla base del “mostro”. Dannazione! Neppure da qui si vede se c’è una goulotte che lo percorre fino in cima… Ancora una volta non ci resta che proseguire, incrociando le dita. Sento che inoltrarsi in questa parete è un po’ come entrare di nascosto nella dispensa della nonna per rubare la marmellata. “Allora speriamo di non essere scoperti”, penso sorridendo a me stesso. Il primo tiro, molto piacevole e delicato da proteggere, è su ghiaccio sottilissimo – non c’e verso di piazzare neppure le viti cortissime. Per fortuna, chiodi, nuts e friends non ci mancano. Poi la goulotte si allarga in una conchetta nevosa e, finalmente, ecco comparire una vaga ed inquietante goulotte, che s’insinua incerta fra gli strapiombi del camino. Ma allora dentro il “mostro” una strada, per quanto complessa, c’è!

A stento tratteniamo esclamazioni di sorpresa e gioia, anche se sappiamo che non si concederà facilmente. Un altro tratto tiro di goulotte precede due lunghezze letteralmente spettacolari. Dopo alcuni metri con ghiaccio che ci consente addirittura di piazzare una vite media, ecco uno dei tratti-chiave: prima di cedere, costringe Michel e il sottoscritto a togliersi gli zaini, che recupereremo una volta in sosta. L’avanzata nell’angusta goulotte è spesso sbarrata da enormi “bouchons” di neve, che richiedono un logorante lavoro di pulitura. A questi si alternano tratti di dry che ci impegnano a fondo, visto che, tra l’altro, siamo poco sotto i 4000m, carichi del materiale da bivacco e già con parecchie centinaia di metri sulle spalle. Il tutto, tenuto conto della roccia poco chiodabile ai lati e pessima sul fondo del diedro-camino (di alcune scariche faranno le spese un casco, un paio di occhiali e un chiodo di sosta), ci impegna non poco. Ma il contesto e l’arrampicata sono esaltanti!

Di fronte alle stupende lunghezze che la via continua ad offrirci, la gioia inquieta dei momenti più intensi permea ogni nostro movimento. A poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey, la goulotte termina e si trasforma in una sorta di diedro roccioso aperto, intasato da enormi strutture nevose. Verso le 12:30 iniziamo le doppie, che attrezziamo (a volte in modo spartano) fino al ghiacciaio di Pra Sec, dove arriviamo alle 18:30 circa. Una sosta, poi ancora giù, fino alla Val Ferret e alla pizza che divoriamo a La Palud.

?Rivivendo con gli occhi della mente la nostra avventura, mi viene da pensare che la realizzazione di “Plein Sud” sia riuscita perché abbiamo affrontato la parete con lo stesso spirito di Grassi: una visionaria, ma lucida, incoscienza.

PLEIN SUD – Grandes Jorasses, parete S
Prima salita: Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti, Marco Appino il 22 maggio 2010
Sviluppo: 900m
Difficoltà: VI, WI4+/5R, M6+
Materiale utile: 1 serie di friends (anche misure piccole) fino al Camalot #2, nuts, viti da ghiaccio: 5 medie, 3 corte, 2 cortissime, chiodi da roccia (lost arrows, unversali e, soprattutto, lame)
Breve descrizione:
1. 450 m goulottes della ”Direttissima” – “Gianni Comino Memorial Route” (o "Phantom Direct", Grassi/Luzi/Rossi 1985)
2. Couloir fino al gran camino 250m
3. Goulotte di ghiaccio e dry nel camino 200m

Marcello Sanguineti ringrazia TrangoWorld (www.trangoworld.com) e Grivel (www.grivel.com)

>> La storia della SSE DELLA GRANDES JORASSES di Luca Signorelli

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Ouray Ice Festival 2010

August 26, 2019 | News | No Comments

Dal 7 – 10 gennaio ad Ouray in Colorado (USA) si è svolta la XV edizione del Festival internazionale di arrampicata su ghiaccio che ha attirato migliaia di ice climber. La gara è stata vinta da Josh Wharton (USA) ed Ines Papert (GER). Will Gadd è stato protagonista di una 24ore di arrampicata non-stop per beneficenza. Ines Papert ci racconta cosa è successo.

"Nel 2009 mi sono persa l’Ouray Ice Festival, il Festival per i cascatisti più grande del mondo. Mentre, la notte tra il 12-13 gennaio, tremavo nel bivacco su una fredda parete nord dell’Himalaya, i miei amici ballavano fino alle ore piccole nella cittadina del Colorado. Dal 2003 non avevo quasi mai saltato un meeting… Così quest’anno, assieme a Rolf Eberhard, ho preso il lungo volo fino a Denver, poi ho continuato per Montrose e poi, con un’altra ora di macchina, abbiamo raggiunto quel remoto villaggio a circa 3000m di altitudine. Siamo stati accolti da un grande striscione con le parole "Welcome ice climbers" e, ancora una volta, migliaia di fanatici del ghiaccio si sono presentati alla manifestazione. Nel 2005 ho vinto la gara battendo persino gli uomini, questo è uno dei motivi per cui la gente mi conosce ad Ouray… Così quasi tutti si aspettavano che io facessi lo stesso anche quest’anno, tranne io stessa. Sapevo che, per vari motivi, non avevo avuto abbastanza tempo per allenarmi bene.

I workshop tenuti da arrampicatori e alpinisti famosi come l’alpinsta leggenda Steve House si sono rivelati momenti estremamente positivi, così come le lezioni dell’ "esperto di offwidth" Andres Marin e della cascatista Caroline Ware. Gli organizzatori hanno ricevuto con gratitudine un assegno a cinque cifre grazie alla generosità degli arrampicatori statunitensi. Anche perché il denaro viene sempre speso bene: ogni anno gli organizzatori offrono qualcosa di nuovo per gli scalatori, come il "Kidswall" realizzato lo scorso anno, dove in quest’edizione 160 bambini per la prima volta sono riusciti a scalare su ghiaccio.

Uno degli highlight indiscussi di questo Festival è stato Will Gadd e la sua salita di beneficenza "Endless Ascent". Si era proposto l’obiettivo di arrampicare senza sosta per 24 ore su una via di 40m di grado W14 nel tentativo di coprire la distanza che c’è tra il Campo Base e la cima dell’ Everest.. Molti degli spettatori hanno assistito allo spettacolo, anche durante la notte. Alle 6.00 di domenica mattina ho sostenuto Will con una tazza di caffè caldo e brioche; sembrava stanco, ma lui non si arrende mai. Grazie alla sua incredibile determinazione è riuscito a ripetere la via per (un’incredibile) 194 volte (n.d.r. per un totale di 7760m, il doppio del suo obiettivo originale.) E, ancora una volta gli alpinisti stetunitensi hanno risposto con generosità, con le loro donazioni per i bambini dell’ Himalaya.

In concomitanza con tutto questo, c’era anche la competizione. Vince Anderson aveva speso giorni a tracciare una via di misto difficile, che si è tradotta in un M9 di 50m con una partenza da seduto . Quando è arrivato il mio turo sono partita, ed improvvisamente mi sono resa conto di essere sotto la tenda di ghiaccio finale. Ho sentito la voce dello speaker in sottofondo chiamare 5 minuti. "Andiamo in cima, accelerare non ha mai fatto male a nessuno!" ho pensato, mentre colpivo il ghiaccio con la piccozza. Ma giusto in quel momento il ghiaccio si è frantumato e mi sono trovata appesa alla corda. Ero felice di aver vinto la gara femminile ma un po’ delusa anche, perché ero soltanto al 3° posto assoluto.

Quest’evento è stato un momento per scambiarci esperienze, avventure ed idee, progettare spedizioni future e, purtroppo, dire addio a Guy Lacelle scomparso di recente. A volte dolore e lutto, sogni e fortuna si trovano così vicini.

Ines Papert

Risultati Ouray 2010
Uomini
1. Josh Wharton
2. Sam Elias
3. Will Mayo

Donne
1. Ines Papert
2. Audrey Gariepy
3. Dawn Glanc

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James Pearson, 9a a Perles in Spagna

August 26, 2019 | News | No Comments

Il climber inglese James Pearson ha ripetuto Escalatamasters 9a nella falesia di Perles, Spagna.

Ci aveva già accenatto di averla provata e di esserne interessato l’altro giorno, quando la sua fidanzata Caroline Civaldini aveva chiuso Mind Control ad Oliana. Adesso invece è arrivata la buona notizia: James Pearson è riuscito a salire il suo primo 9a, Escalatamasters nella falesia di Perles in Spagna

Aperta sa Ramòn Juiliàn Puigblanque, Pearson aveva iniziato a tentarla nel dicembre 2011, poi ieri sera è arrivata la rotpunkt della vai. “Forse la via più bella che abbia mai visto!” ha poi commentato Pearson.

Nienete male per uno dei più forti climbers inglesi che vanta performance impressionanti anche sulle pericolose vie tradizionali (fino a E10), il boulder (8b flash nel 2007) e lunghe vie di più tiri, come per esempio gli 800m di Joy Division 8b in Val di Mello.

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Dave Birkett ripete The Walk of Life

August 26, 2019 | News | No Comments

Dave Birkett ha realizzato la terza salita di The Walk of Life a Dyer’s Lookout, North Devon, Inghilterra.

Qualche giorno fa il climber inglese Dave Birkett si è spostato a sud della sua “roccaforte” nel Lake District per effettuare la terza salita di The Walk of Life, l’immacolata placca liberata da James Pearson nel settembre 2008 a Dyer’s Lookout, North Devon Inghilterra.

La via era stata ripetuta da Dave Macleod nel gennaio del 2009 e lo scozzese aveva suggerito il grado di E9 6c, una visione che ora Birkett condivide. La salita di Birkett è arrivata al quarto giorno e il 42 enne climber ha descritto così la via: “E’ un muro di straordinaria bellezza su una lavagna di roccia incredibile. Quando mi sono trovato li, alla base, sapevo che non potevo non salirla. E’ in una posizione straordinaria. Quando tutti i discorsi e il casino del grado si assestano, sarà definita come una moderna classica estrema del 21° secolo. Il Cenotaph Corner della contea di Devon.”

Per che hanno meno familiarità con la storia dell’arrampicata britannica aggiungiamo una piccola nota: Cenotaph Corner si trova nella falesia di Dinas Cromlech in Galles, e la famosa prima salita risale al 1952 quando il leggendario Joe Brown ha salito il diedro bagnato con solo un paio di calze ai piedi. La via è un eterno monumento alla brillantezza di Brown e questo E1 è probabilmente la più famosa via trad in Gran Bretagna di tutti i tempi. Dunque, quello di Dave Birkett è un bel paragone e un gran complimento per Walk of Life!

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Gli alpinisti statunitensi Michael Schaefer e Kate Rutherford hanno appena aperto la Washington Route (VI, 5.10, A1), nuova via sul Cerro Fitz Roy.

La Patagonia continua ad essere in fermento alpinistico: questa volta la notizia arriva direttamente dal Cerro Fitz Roy, grazie alla recente Washington Route aperta dagli statunitensi Mikey Schaefer e Kate Rutherford.

I due alpinisti hanno scelto di salire il più leggeri possibile, senza trasportare tenda e sacchi a pelo: questa scelta ha rallentato in modo significativo l’approccio alla Brecha. Infatti, dopo l’avvicinamento notturno sotto la pioggia e la salita sul ghiacciaio che si scioglieva al calore del sole, i due hanno perso tempo asciugando tutto il materiale. Costretti ad un bivacco improvvisato alla base della via California, è apparso subito evidente che la loro avventura avrebbe richiesto molto più tempo del previsto. 

Per Schaefer e Rutherford le difficoltà sono iniziate il 09/02/2011, scegliendo una linea a poche centinaia di metri a est della via California e con Rutherford in testa. L’inizio è stato lento a causa delle fessure ghiacciate, ma gli alpinisti hanno successivamente trovato bellissime fessure pulite con difficoltà sostenute nell’evidente diedro. Dieci rapidi tiri più tardi hanno deviato verso destra, ed altri due ripidi tiri li hanno condotti su un percorso più semplice: arrampicando in conserva sono arrivati alla cima alle 23.00. Dopo un altro freddo bivacco, sono scesi senza grossi problemi il giorno successivo lungo la via Franco Argentina.

La Washington Route è la terza nuova via in Patagonia per Schaefer, dopo la recente Jardines Japoneses assieme a Colin Haley e Jens Holsten sul Aguja Mermoz, e alla Hard Sayin not Knowing (400m 6a A2 75°) sulla parete est del Guillaumet, aperta con Kate Rutherford nel gennaio del 2009. 

Per un report completo e altre foto visitate mikeylikesrocks.com

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Ci ha lasciati Samuele Scalet. Aveva 70 anni, da alpinista ci ha regalato vie indimenticabili sulle Pale di San Martino (Dolomiti).

“Prima o dopo mi assale sempre il desiderio di tornare su qualche bella parete a consumarmi la pelle delle mani o ad aspettare l’alba in un bivacco.” Questo mi disse Samuele Scalet qualche anno fa in un’intervista. Forse è stato quello stesso richiamo che, venerdì mattina, l’ha spinto ad uscire dalla sua abitazione di Trento verso il rifugio Bindesi di cima Marzola. Un’escursione a lui famigliare sulla montagna che sorge proprio a due passi da Trento. Ma da quella sua ultima passeggiata Samule Scalet non è più ritornato. Ieri le squadre di soccorso hanno ritrovato il suo corpo nascosto in mezzo alla boscaglia.

Non ha mai smesso di pensare alla montagna Samuele Scalet, nemmeno in questi ultimi anni di lunga malattia. Nato nel 1940, trentino, laureato in matematica, insegnante, alpinista e fortissimo arrampicatore (nonché Accademico del Club Alpino dal ‘68) ha firmato molte bellissime vie sulle Pale di San Martino. Quelle stesse montagne che hanno riempito la sua fantasia di bambino “lasciando una traccia indelebile per tutta la vita”.

“Senza la montagna e l’amore che ho per essa non sarei più io” mi aveva raccontato sempre in quell’intervista, ricordando il momento in cui tutto era iniziato. In quell’estate dei suoi 13 anni  era andato alla ricerca delle sue pecore che si erano perse sull’Altopiano delle Pale. Le ritrovò  dopo giorni di solitaria ricerca. Intanto però era scoccata la scintilla: aveva gettato lo sguardo dentro e dietro le Pale innamorandosene per sempre.

La sua prima via nuova è dell’agosto del 1959, l’aprì sulla Cima Principale di Manstorna insieme ad Aldo Bettega, altro grandissimo alpinista delle Pale, e a don Sesto Bonetti. Poi venne quello che lui definì il suo primo perido da alpinista, che culminò nel 1964 con l’apertura della via Biasin sulla parete delle pareti delle Pale, la sud est del Sass Maor. Una via, bellissima e difficile, che per molti anni fu il banco di prova per i migliori dolomitisti e non solo.

Quella via per Scalet rappresentò la realizzazione di un sogno a lungo inseguito ma anche la perdita del suo compagnodi scalata, Giancarlo Biasin, che precipitò nella (facile) discesa. Quella tragedia gli lasciò tracce profonde. Tanto profonde che quasi interruppe le sue scalate.

Ma il suo amore per quelle montagne era troppo forte. Così dal ’93 iniziò la sua seconda primavera da scalatore. Una stagione bellissima tanto che, nel 2001, insieme a Marco Canteri e Davide Depaoli, aprì la stupenda Masada, una super via di 1260m metri considerata una delle più belle delle Dolomiti. Non a caso anche Masada percorre l’immensa sud est del Saas Maor, la parete che per sempre resterà nella sua anima e che per sempre parlerà agli alpinisti di Samuele Scalet.

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Al via domani, sabato 9 aprile, il 15° TdR, gara di scialpinismo a coppie che, per questa edizione, si svolgerà su due tappe. Per la prima volta, dopo aver sempre girato attorno alla cima di cui porta il nome, il TdR renderà omaggio alla madonnina che troneggia in vetta alla Testa del Rutor (3486 m). Si conferma il grande attaccamento degli atleti e degli appassionati a una gara capace di infondere tutto l’entusiasmo giovanile dello Sci Club organizzatore, il Corrado Gex. Tanti ‘big’ in lizza e i migliori giovani del panorama internazionale.

Tutto è pronto nei comuni valdostani di Arvier e Valgrisenche (Provincia di Aosta, Italia) per accogliere le centinaia di atleti che, divisi in squadre da due, prenderanno parte alla 15° edizione della competizione che ha per protagonista ‘muto’ il Rutor. Due tappe dunque. La prima sabato 9 sul territorio di Valgrisenche, la seconda domenica 10 su quello di Arvier. Oltre 4000 metri di dislivello positivo in due giorni. Già da oggi, venerdì 8 aprile, dalle 14,30 alle 18,30 l’accreditamento dei concorrenti, fra cui tanti nomi di primo piano, e il ritiro del pacco gara. Alle 18,30 il briefing che illustrerà i percorsi e gli orari, con partenze anticipate per poter ovviare alle alte temperature che si annunciano nei due giorni di sole del week-end. Il briefing inaugurale si concentrerà in particolare sul percorso di sabato che prevede la partenza dalla diga di Beauregard (1770 m), nel territorio di Valgrisenche (Aosta, Italia) e si conclude a Planaval (1557 m), dopo aver toccato la Testa del Rutor (3486 m). L’omaggio alla madonnina del Rutor è il primo in tanti anni di questa classica con la formula a tappe e la sommatoria dei tempi (come al giro d’Italia di ciclismo o come nelle manches di sci alpino). Nelle precedenti edizioni infatti il Rutor costituiva il perno attorno al quale si snodavano gli itinerari. Stavolta il massiccio che conferisce il nome alla gara verrà toccato direttamente dal tracciato. Domenica sarà invece quello classico, con le creste, le cime, le grandi discese vegliate dallo Château Blanc (3415 m) e dal Flambeau (3315 m). Il denominatore comune dei due giorni sarà, come dice il nome di questa gara, l’«extrême», cioè la tecnicità alpinistica e la lunghezza dei percorsi.

L’altra bella notizia (che però è una conferma di una vocazione del Corrado Gex) è che, al fianco di tanti nomi di primo piano, quali quello del beniamino locale Denis Trento in squadra con Matteo Eydallin (vincitori dell’ultima edizione), di Gloriana Pellissier con la superstar spagnola Mireia Mirò, di campioni pluridecorati come Jean Pellissier o come il transalpino Toni Sbalby, delle nazionali elvetiche Marie Troillet in squadra con Gabrielle Magnenat, sulla linea di partenza si presenteranno i migliori giovani in circolazione che hanno tutte le credenziali per salire sul podio: dal team italo francese Francois Cazzanelli – Matheo Jacquemoud, alla squadra valtellinese Michele Boscacci – Robert Antonioli, alla “cordata” valdostano tedesca Filippo Righi – Josef Rottmoser. Insomma, l’avventura verticale più tecnica e appassionante del calendario Fisi in pelli di foca è pronta per regalare tante emozioni.

PROGRAMMA TOUR DU RUTOR 2011
VENERDI 8 APRILE 2011
c/o Scuole di Arvier dalle ore 14,00 – ore 18,30
– conferma iscrizione;
– consegna voucher pernottamenti;
– consegna premio di partecipazione;
– ore 18,30 presentazione della gara con la proiezione di un filmato relativo ai percorsi.

SABATO 9 APRILE 2011
1 ora 1/2 prima della partenza della gara firma registro delle presenze, controllo pettorale e ARVA;
ore 6,00 partenza gara;
ore 9,30 arrivo previsto prima coppia;
ore 17,00 presentazione della tappa c/o Sala polivalente scuole Elementari di Arvier.

DOMENICA 10 APRILE 2011
1 ora 1/2 prima della partenza della gara firme registro delle presenze, controllo pettorale e ARVA;
ore 6,00 partenza gara;
ore 9,30 arrivo previsto prima coppia;
ore 12,30 pranzo di chiusura c/o la struttura polivalente sita in località Runaz (Avise);
ore 14,00 premiazione c/o Sala polivalente scuole Elementari di Arvier.

Info, news, aggiornamenti, cronache e classifiche su www.tourdurutor.com.

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Intervista all’alpinista britannico Matt Hellinker dopo la prima salita di The Cartright Connection sulla Moonflower Buttress, Mount Hunter (Parco Nazionale di Denali), in Alaska insieme a Jon Bracey.

Come riportato in precedenza, a metà maggio con 6 giorni di scalata gli alpinisti britannici Matt Helliker e Jon Bracey hanno aggiunto un’importante via nuova alla famosa Moonflower Buttress sul Mount Hunter. La nuova line che è stat chiamata The Cartright Connection, ha uno sviluppo di circa 2000m ed è stata valutata di grado 6 (il massimo della scala utilizzata in Alaska) oppure M6, AI6, 5.8, A2. La salita è avvenuta dopo una perlustrazione durata un giorno in cui Helliker e Bracey hanno salito i primi 10 tiri per sondare il terreno e scegliere la tattica giusta. Poi, dal 13 al 18 maggio, due hanno scalato la parete impiegando quattro bivacchi (dormendo nel loro portaledge) e lottando contro una tempesta che li ha quasi costretti alla ritirata. La nuova via si unisce alla famosa ‘Moonflower Buttress’ sul tiro Vision, sopra la seconda cengia, e il tour de force finale è durato 36 ore descritte poi da Helliker come la salita più lunga e difficile della sua vita. Di seguito la nostra intervista con la guida alpina britannica e il report di Jon Bracey.


The Cartright Connection – intervista a Matt Helliker


Matt, iniziamo con il vostro giro di ricognizione e i primi 10 tiri della via.
Sì, avevamo bisogno di “tastare il terreno”. Non eravamo ancora del tutto convinti che avremmo avuto bisogno di portarci su tanto materiale e anche il portaledge. Essere in parete per un giro di ricognizione per confermare la nostra tattica è stato molto importante per metterci nella posizione ideale per il tentativo vero.

Le cose sono andate abbastanza lisce fino al quarto bivacco, poi siete rimasti senza cibo.
Avevamo con noi provviste per 5 giorni e avevamo originariamente previsto tra i 5 e i 7 giorni per la salita. Eravamo disposti quindi a perdere peso se necessario! Il secondo è salito con uno zaino, mentre il primo saliva con una corda sottile per tirare su il materiale, così siamo stati grado di salire il più possibile in libera.

Sieti stati bloccati da un tempesta, ma poi alle 9 di sera siete stati graziati da una breve tregua.
Avevamo deciso di aspettare altri 2 giorni se necessario, ma era prevista molta neve e vento che sarebbero durati forse per una settimana, il che significava che il nostro tentativo di raggiungere la cima era da giocare in quel momento. Se non avessimo lasciato il bivacco per poi scalare nel brutto tempo, certamente non avremmo completato la via. Saremmo stati costretti a scendere a causa del vento che soffiava a 70 miglia all’ora e le abbondanti nevicate.

Nel primo report hai parlato di un’intrigante esperienza fuori dai vostri corpi.
Verso la fine della salita tutti e due eravamo convinti si sentire delle voci. Questo è durato da 300 metri sotto la vetta fino a circa metà della discesa, ma non era preoccupante, anzi, è stato qualcosa di confortante. Credo fosse la nostra mente che giocava con noi visto che entrambi eravamo completamente devastati dalla stanchezza. Detto questo, ci sembrava comunque di essere nel posto giusto al momento giusto!

Come mai questa linea?
Beh, la Moonflower Buttress è una delle pareti di misto più ripide e belle del mondo. Poter lasciare il segno con una nuova via su questa montagna era ovviamente una grande attrazione.

Avevate già salito la via Moonflower in precedenza?
Questa era la mia prima volta sulla parete nord, mentre Jon aveva già scalato sulla Moonflower lungo la via degli francesi.

Questa non è stata la tua prima esperienza in Alaska. Perché continui a tornare?
Per la facilità di accesso, l’Alaska è superba. Puoi scalare già 3 giorni dopo la partenza dalla Gran Bretagna, così per una “veloce toccata e fuga” sulle grandi montagne è semplicemente perfetto. Per non parlare poi dell’arrampicata e del potenziale che sono semplicemente incredibili. Per l’apertura di nuove vie, l’Alaska è come le nostre Alpi 25 anni fa!

The Cartright Connection – il report di Jon Bracey
Inesorabili valanghe e costanti raffiche di vento schiaffeggiavano ed alzavano il nostro portaledge. Il nostro piccolo bozzolo di sicurezza su questa difficile ed ostile montagna veniva inghiottito lentamente, mentre osservavamo nervosamente la neve salire sulle pareti della tenda. Per arrivare fino a qui avevamo investito cinque dei più difficili giorni di arrampicata della nostra vita e le nostre possibilità di raggiungere la cima della parete Nord diminuivano rapidamente. Non c’era nulla che potevamo fare e le previsioni davano più neve e venti ancora più forti nell’immediato futuro…

Dopo il nostro giro di ricognizione, il primo giorno in parete è filato liscio e le cose andavano secondo i nostri progetti. Quella notte un po’ meno, quando ci siamo resi conto del pericolo di restare appesi nel portaledge su un pendio di ghiaccio di 60°. Siamo stati svegliati da una gran botto, quando il portaledge è collassato all’improvviso e si è trasformato in amaca! Il secondo giorno abbiamo dovuto affrontato molte incertezze per trovare una via attraverso un terreno molto complesso, ripido e pieno di strapiombanti funghi di ghiaccio. Matt ha lottato duramente da primo per tutta la giornata e alla fine, alle 2.00 di notte circa, ci ha portati sotto la più ripida cengia di roccia. Supere queste difficoltà ci ha dato molta fiducia e per la prima volta ho iniziato a pensare che avremmo avuto una piccola possibilità di riuscita! Il terzo giorno è stato ripido e spaventoso …. sottili lastre di ghiaccio, fessure strapiombanti, roccia instabile da superare in artificiale, un tiro di ghiaccio verticale e molto di più ancora. Siamo finalmente andati a letto alle 06.00! Il quarto giorno ci siamo uniti alla via Moonflower e la nuova via era una possibilità – avevamo soltanto bisogno di un po’ di fortuna con il tempo. Ma il quinto giorno ha iniziato a nevicare e il vento soffiava…

Dopo essere rimasti intrappolati nel portaledge tutto il giorno, alle 9 di sera abbiamo avvertito una lieve tregua nella tempesta e vedevamo scorci di sole attraverso le nuvole. Tutti e due abbiamo pensato esattamente la stessa cosa… che questa era la nostra unica possibilità e che la dovevamo prendere! Eravamo senza cibo quindi non aveva neanche senso continuare il gioco dell’attesa. Abbiamo rapidamente messo nello zaino il fornello, guanti di ricambio, una giacca calda ed un minimo di attrezzatura. Il nostro obiettivo era raggiungere la cima della parete, 500m e 13 tiri sopra di noi, pur sapendo in realtà che le possibilità di successo erano minime. Due tiri più tardi ha iniziato nuovamente a nevicare e ci siamo trovati a combattere duramente contro le forti scariche di neve. Il freddo era quasi insopportabile ma in qualche modo il nostro ottimismo e la riluttanza di darci per vinti ha prevalso. Abbiamo raggiunto la cima alle 5 del mattino in un stato di delirante esaurimento, ci siamo detti poche parole e non ci siamo resi conto di quello che eravamo appena riusciti a fare. Sapevamo soltanto che dovevamo iniziare la discesa in corda doppia, subito. 38 calate e 14 ore più tardi eravamo di nuovo sul ghiacciaio e siamo crollati, dopo essere rimasti svegli per 36 ore. Abbiamo chiamato la via ‘The Cartwright Connection’ in memoria del buon amico Jules. Era sua la visione di tentare questa linea.


The Cartwright Connection
North Buttress, Mount Hunter, Alaska
Prima salita Jon Bracey e Matt Helliker 13 – 18 maggio 2011
circa 6000 piedi, grado Alaska 6 (M6, AI6, 5.8, A2)

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