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Il 30/08 a Mel (Bl) Silvio Reffo e Sara Avoscan si sono aggiudicati il titolo di campioni regionali del Veneto di arrampicata sportiva.

Sabato 30 agosto nell’ambito del Mel Climb Event, l’evento di
arrampicata che si svolge ormai da tre anni a Mel in provincia di
Belluno, si è disputata la classica gara di arrampicata sportiva che
quest’anno oltre ad essere inserita nel Circuito Nazionale Open ovvero
nelle prove che stabiliscono il ranking nazionale per gli atleti era
valevole anche per l’assegnazione dei titoli di Campione regionale
veneto.

Come tradizione anche in questa edizione nello splendido scenario di
Mel la competizione ha vissuto momenti intensi rivelando una passione
del pubblico ma anche degli atleti davvero coinvolgente. Forse sarà
stato anche per il titolo regionale in palio ma un’altra gradita
sorpresa è arrivata dalla grande partecipazioni di atleti debuttanti
rivelatisi tutti di ottimo livello. Un bel segnale per il movimento
delle competizioni di arrampicata, soprattutto considerando
l’entusiasmo che si respirava in gara.

Dopo le fasi di qualificazione il clou è arrivato con la finale in
notturna. Sei le ragazze in lizza nell’ultima decisiva manche, con la
bellunese Sara Avoscan e la valdostana Martina Blanchet che confermano,
rispettivamente con il 1° e 2° posto, lo stesso piazzamento del primo
turno, seguite al 3° posto dalla veneziana Alessia Patrizio autrice di
spettacolare prestazione in finale. Avoscan dunque oltre alla vittoria
va anche il titolo di campionessa regionale.
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Tra gli otto finalisti nella categoria maschile tre atleti comandano la
gara al primo posto: Fabio De Cesaro, Silvio Reffo e Luigi Billoro.
Alla fine sarà proprio questo terzetto che si dividerà il podio con
un’emozionante testa a testa che li vede arrivare agli ultimi appigli
della via di finale distanziati l’uno dall’altro da pochissime prese.

Più in alto di tutti va Silvio Reffo, giovane vicentino, che si
guadagna così il titolo di Campione Regionale e il diritto a
partecipare al prossimo Campionato Italiano Assoluto che si terrà
proprio in provincia di Vicenza il prossimo Ottobre. Alle sue spalle il
padovano Luigi Billoro è secondo mentre Fabio De Cesaro è 3° e il
giovane di Santo Stefano di Cadore Stephan De Zolt è 4°.
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Explorersweb, contenuti a pagamento

August 28, 2019 | News | No Comments

Explorersweb.com il sito statunitense dedicato all’alpinismo himalayano e all’esplorazione ha annunciato che il suo contenuto sarà disponibile ai lettori soltanto a pagamento.

Dopo che il Financial Times ha aperto la strada nel 2002 e The Wall Street Journal ha recentemente annunciato l’intenzione di implementare un sistema simile all’inizio del 2011, era nell’aria che anche i lettori di altre testate online avrebbero dovuto pagare per usufruire dei loro contenuti.

A seguire questo trend è ora Explorersweb, una delle riviste online più autorevoli degli Stati Uniti che si concentra principalmente sull’alpinismo Himalayano e l’esplorazione dei poli, che ha annunciato che i suoi lettori dovranno sborsare soldi per leggere gli articoli.

Nella notizia pubblicata ieri sul sito statunitense si afferma che: "ExplorersWeb è arrivato in cima, ma molto ci aspetta ancora. 19.813 notizie dopo l’inizio a New York, ora ExWeb deve trovare un solido modello economico. E’ arrivato il momento per trovare redattori di altri paesi, aggiornare AdventureStats, aumentare il personale per rimanere al passo con una crescente quantità di contenuti, e costruire una nuova piattaforma per collegare tutti gli alpinisti ed esploratori del mondo, diffondendo il loro spirito unico e le loro esperienze ed idee".

Le notizie di rilievo su www.explorersweb.com sono ora presentate soltanto con un breve riassunto ed un invito ad abbonarsi per poter leggere l’articolo per intero. Il costo annuale è di 36.50 dollari e vale la pena sottolineare che il 5% di tutti i proventi verranno devoluti alle operazioni di elisoccorso in Himalaya. Questo cambiamento segna un momento importante anche nel settore di nicchia dell’alpinismo online e c’è da aspettarsi che l’eventualità di limitare la consultazione libera dei contenuti sarà esaminata anche da altre testate.

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Dal 26 luglio al 9 agosto Silvia Vidal e Youri Cappis hanno effettuato la prima salita di ‘Entre boires’ A3/6a+/80º sulla parete est dello Huascaran North (Cordillera Blanca, Perù).

Silvia Vidal continua nella sua ricerca di big walls nel mondo. Dal 23 luglio al 9 agosto la Catalana si è impegnata, assieme allo svizzero Youris Cappis, nella prima salita di “Entre boires” A3/6a+/80º che sale una linea sulla parete est dello Huascaran North (Cordillera Blanca, Peru).
Entre boires, Huascaran North, Peru di Silvia Vidal
Dal 23 luglio al 9 agosto, dopo 7 giorni impiegati a trasportare l’attrezzatura e fissare i primi 200m della via, Youri Cappis (uno Svizzero che ora abita in Catalonia) ed io abbiamo salito una nuova via sulla parete est del Huascaran North.
Youri non aveva nessuna esperienza di Big walls, ma voleva comunque accompagnarmi e sperimentare la vita in parete per più giorni di fila, in altitudine e lontano dalla “civiltà”. Fino a 10 giorni dalla partenza per il Perù non aveva mai preso in mano uno jumar, ma dopo due giorni di pratica… ha deciso di venire con me. Si è rivelata un’esperienza fantastica sia per lui sia per me!
Abbiamo stabilito il Campo Base Avanzato a 5200m e dopo 7 giorni di acclimatamento, trasporto e fissaggio delle corde abbiamo iniziato la salita. La nostra intenzione era di salire il triangolo di roccia e poi proseguire per la cima, ma non siamo riusciti a raggiungerla a causa del maltempo, sia per le condizioni del ghiaccio sia perchè la discesa ai nostri portaledges si è rivelata estremamente difficile.
La difficoltà maggiore era individuare una via di salita, cosa che si è dimostrata complicata ma ancora più difficile si è rivelata in discesa. La prima sezione è segnata da numerosi tetti che abbiamo tentato di evitare, mentre la sezione centrale della via che sale su neve e ghiaccio fino a 80° ci ha reso molto faticoso il trasporto degli haulbag e le discese in doppie. La sezione finale è strapiombante e la qualità della roccia cambia notevolmente, da molto friabile a compattassima. Per fortuna la salita di quest’ultima sezione è diretta e facile.
L’accesso alla parete è abbastanza pericoloso a causa delle scariche dei seracchi posti tra i due Huascaranes. Inoltre, la base della parete è esposta alla caduta di sassi tanto che le nostre corde fisse sono stati tagliate in due punti. La via però è abbastanza sicura grazie ai grandi tetti e agli strapiombi, che però aumentano la difficoltà delle discese in doppia. In totale abbiamo impegnato 2 giorni e mezzo a scendere i tetti, i traversi e le sezioni di neve.
Abbiamo impiegato un totale di 18 giorni (17 notti) in parete e non abbiamo avuto neanche un giorno di bel tempo. Il freddo intenso ha congelato la nostro acqua e ci ha anche causato problemi di circolazione ai piedi, mani e nasi. Di conseguenza ho trascorso alcuni giorni in solitaria mentre Youri si riprendeva nel portaledge.
Ci è sembrato di salire su una parete vergine e non abbiamo trovato nessuna informazioni su altre possibili vie. Questa stagione in Perù è stata pessima e anche se abbiamo avuto un paio di momenti di sole, siamo saliti quasi interamente immersi nella nebbia e nella neve. E’ per questo che abbiamo dato alla via il nome “Entre boires”, che in Catalano significa “Nella nebbia”.
Entre boires
Parete Est Huascaran North (Cordillera Blanca, Peru)
Salitori: Silvia Vidal & Youri Cappis, 23/07 – 09/08/2008
Campo Base Avanzato: 5200m
Base della parete: 5350m
Fine della via: 6150m
Lunghezza: 970m
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Difficoltà: A3/6a+/80º
Giorni in parete: 18
Corde fisse: 200 m

Nuova via a Taghia per Florit

August 26, 2019 | News | No Comments

Dal 21 settembre al 9 ottobre Mauro Florit, Mattia Buffin, Umberto Iavazzo e Leonardo Dagani a Taghia, Marocco, hanno aperto “Mai molar berbère” sulla parete sud est del Tagoujimt n’Tsouiannt (TD+, 500 metri, max 6+).

“Nessun impresa, solo una gita in un gran bel posto” E’ cosi che Mauro Florit descrive l’ultima delle sue spedizioni estive, questa volta in compagnìa di Mattia Buffin, Umberto Iavazzo e Leonardo Dagani nell’aspra terra nell’Alto Atlante, più precisamente nella affascinante zona del Taghia, Marocco. Durante il soggiorno i quattro hanno ripetuto varie vie e soprattutto aperto la loro “Mai molar berbère” sulla parete sud est del Tagoujimt n’Tsouiannt (TD+, 500 metri, max 6+).

A leggere il report di Umberto, viene da pensare che i quattro siano rimasti letteralmente stregati da Taghia. Come, d’altronde, i vari Rolando Larcher, Maurizio Ovigila, David Kaszlikowski, Simone Sarti, Silvestro Stucchi, Arnaud Petit e davvero tantissimi altri che li hanno preceduti.

Sguardi di pietra di Umberto Iavazzo
Quando ci affacciamo al limite del primo canyon, dopo Zaouia Ahanesal, il panorama che si apre riporta la mia fantasia al Gran Canyon degli Apache, a quelle terre ancora più lontane; la conformazione geologica, i colori del territorio, la flora e la fauna hanno aspetti molto simili. Le acque dell’ampio canyon che ci conduce verso Taghia sono limpide e scorrono senza fretta come il tempo che stavolta abbiamo a nostra disposizione. Non sembra vero… e infatti il tempo è bizzarro e “spinoso” proprio come i bassi e rotondi cespugli, fatti di aculei che ti pungono le caviglie; come i radi, giganteschi alberi contorti, dal tronco nudo e che sembrano grosse funi di canapa attorcigliate dal vento. Le loro rade chiome verdi si stagliano in un cielo blu profondo che repentinamente sa addensarsi in temporali e grandinate che riempiono i canyon di acque furiose. Una catena in continua evoluzione primordiale, dove le capre salendo sui dirupi smuovono costantemente i pendii facendo rotolare le pietre che, trasportate poi dalle violente piene nei canaloni, lisciano le pareti sbiancandole e facendosi trascinare a valle.
Rocce nero fumo con venature verdastre, piegate da milioni di anni nei fondovalle, vengono utilizzate dai berberi per le loro case rivestite di fango e con i tetti intrecciati da legni e canne provenienti dal fiume.
Le cenge circolari solcano verticalissime pareti ricordando un po’ i terrazzamenti vicino al fiume che permettono magre coltivazioni. Le pareti sono una continua fuga di “vuoti” verticali fatti di placconate ocra intenso e finemente lavorate dall’acqua in goccette, tacchette, rari diedri e fessure. Le rocce sono tinte con le più svariate tonalità di giallo ocra e marrone rossastro come gli occhi stupendi delle donne berbere, profondi come i canyon, scintillanti come i rari fulmini che sembrano materializzarsi nel nero dei loro abiti. Le giovani, spesso vestite di colori chiari, lasciano trasparire anche con la flessuosità dei loro movimenti la loro bellezza, illuminata dai chiarissimi sorrisi, contrappuntata dall’ammiccare civettuolo dei loro sguardi. Belle e longilinee, ti mettono in cuore l’agitazione che poi verso sera anche i temporali sanno muovere nei nostri animi.
La nuda bellezza di questi luoghi è pari alla grande dignità dei berberi che si fanno sempre capire con poche parole, gesti misurati e sguardi diretti che, assieme alla pacatezza delle loro voci, creano un collage di fierezza e tranquillità come ovunque è tipico delle genti di montagna. Ci aiutano a scendere per i canaloni giusti facendoci da guida quando non sappiamo dove andare, persone semplici e sempre sorridenti, forti dello stesso spirito di questi monti scolpiti dal vento.
Arrampichiamo per giorni su queste splendide pareti aderendo ad una roccia granulosa e sempre salda, lasciandovi tutta la nostra energia che la sera il Tapine, il piatto berbero a base di carne, non riesce a compensare. Così sopportiamo un po’ la fame ingurgitando calde pagnotte fatte in casa.
La bizzarria del tempo è seconda solo ai nostri caratteri, aggrovigliati giocoforza dallo stare assieme, come le corde sul terrazzino che a volte si annodano e non si sbrogliano. Età e vite diverse a volte ci ricordano che siamo tristemente umani. Sulle vette però riordiniamo le nostre corde e le nostre intemperanze in ampie spire che poi ci buttiamo dietro le spalle con un sorriso. Rimango indietro, stanco e sazio di roccia, guardo i miei amici che scendono e mi ricordo di una volta quando uno mi chiese “…ma chi te lo fa fare?” Risposi solo, con un sospiro di sollievo….per fortuna… nessuno!
Con ciò rimontiamo in sella ai nostri pensieri, Mauro, Leo, Mattia e io già galoppiamo chissà verso quali altri monti ed esperienze per il domani. Siamo, tutti noi, come queste terre che passano velocemente dal bello al brutto tempo. A volte saliamo verso l’alto come l’avvolgente coltre di nebbia mattutina o rotoliamo veloci nel baratro dei canyon spaventando i cani che si godono il sole sulle cenge. Altre volte ci rintaniamo in noi stessi, bui e silenziosi come quel pipistrello che abbiamo scovato nella stessa fessura che ci serviva per salire e come lui, se infastiditi, mostriamo i denti.
L’immagine più chiara che mi resta in mente è quella dei pastori che pregano, urlando ad alta voce la loro orazione, soli, con le braccia protese al cielo cercando in qualche modo di afferrare il loro Dio, così come noi tendiamo le nostre in alto, sulla roccia, alla ricerca dell’appiglio giusto…proprio come nella vita.

Marocco 2008 con il patrocinio del CAI sezione di Monfalcone
Periodo: 21 settembre – 9 ottobre 2008
Partecipanti: Florit Mauro CAAI Gruppo Orientale; Buffin Mattia CAI Monfalcone; Iavazzo Umberto CAI Monfalcone; Dagani Leonardo CAI Cremona;

Descrizione: Situato nell’Alto Atlante a circa 200 km a est di Marrakech, Taghia è un piccolo villaggio con appena 400 abitanti, che si trova ad una altitudine di circa 2000 metri ed è circondato da grandi pareti che talvolta superano gli 800 metri. Per accedervi è consigliabile un fuoristrada fino a Zaouia Ahanesal e poi con due ore di marcia si raggiunge il paese. Il sito è ora conosciuto per l’eccezionalità delle scalate e per la grande umanità degli abitanti.

Durante la permanenza sono state ripetute varie vie ed aperta una nuova :
“Mai molar berbère” sulla parete sud est del Tagoujimt n’Tsouiannt (TD+, 500 metri, max 6°+)

Indirizzi web:
www.onaclimb.com/taghia/intro.htm
www.remi-thivel.com/
Bibliografia:
“Taghia Montagnes Berbères” Christian Ravier.
Contatti a Zaouia Ahanesal: Ahmed Amahdar 00212(0)23459393 / 00212(0)78538882
Contatti a Taghia: Youssef Rezki Tel:00212(0)23459608 / Fax:00212(0)459608
Gsm:0021(0)68909843 / mail:[email protected]

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Per Karl Unterkircher

August 26, 2019 | News | No Comments

Dedicato all’amico Karl Unterkircher, da Ivo Rabanser suo compagno di scalate e sogni sulle pareti delle Dolomiti.

La scomparsa di Karl Unterkircher ci ha lasciati attoniti, sgomenti. Non poteva essere altrimenti, non può che essere così. E come spesso abbiamo scritto, in queste occasioni non ci sono parole né scritte né dette per misurare la perdita. Gli alpinisti lo sanno bene, conoscono questi momenti… per loro e di loro resta il ricordo della condivisione di una passione e la certezza di una speranza: questa è ed era la loro “vita”.

Mentre pubblichiamo questo ricordo dedicato a Karl, Silvio Mondinelli e Maurizio Gallo stanno raggiungendo il campo base del Nanga Parbat per cercare di portare soccorso a Walter Nones e Simon Kehrere, ieri ancora impegnati nella difficile fuga verso l’alto che dovrebbe consentirgli di uscire dalla parete e raggiungere una linea di discesa sicura. E’ una lotta dura e complicata quella che si sta svolgendo sul Nanga Parbat, una battaglia per la salvezza che tutti stiamo seguendo con il fiato sospeso. Forza!

Dedicato a Karl
di Ivo Rabanser

Conobbi Karl più di vent’anni fa, sulle piste della Val Gardena. Mi colpì da subito la sua sciata, sicura ed ugualmente agressiva. Era regale sulla neve. Scivolava via incurante degli ostacoli, leggero e con guizzo. Diventammo amici, con quella spontaneità con cui stringono amicizia due ragazzi di diciassette anni. Ci trovavamo spesso nei locali di Selva, poiché a quell’età non si vive solotanto di montagna. Ricordo che una sera, fattasi tardi, volle accompagnarmi a casa in macchina. Quella notte parlammo a lungo dei sogni che avremmo voluto realizzare. Karl si era affacciato da poco all’alpinismo ed era elettrizzato dal mondo che gli si stava schiudendo. In modo pacato e sempre sorridente. Aveva trovato la sua dimensione e non vi avrebbe più rinunciato. Per nulla al mondo.

Insieme salimmo diversi itinerari sul Sella. Era il periodo “Sturm und Drang”, in cui saggiammo le nostre possibilità, mentre gradualmente si profilavano le nostre inclinazioni. Il bello della montagna è che ogni persona vi può trovare il suo giardino segreto, da coltivare con passione, per poi vederlo prosperare. Dopo il servizio militare Karl iniziò ad allenarsi metodicamente. Era attratto dalle grandi pareti e voleva presentarsi al loro cospetto ben preparato. Modesto – di quella autentica modestia così rara fra gli umani – aveva un approccio naiv alla montagna, così come nella vita. Dalle Dolomiti passò senza inibizioni alle Occidentali. Roccia, ghiaccio, misto, neve, dominava su ogni tipo di terreno. Mentre inanellava salita dopo salita, accrescendo sempre più il suo bagaglio d’esperienza. Divenne sempre più forte, deciso, risoluto.

Visse la sua passione per la montagna in modo imperioso, senza mezze misure. Puntando dritto a quelli che erano i suoi obiettivi. Nelle Dolomiti tracciò una serie di prime ascensioni senza mai forare la roccia. Ma le sue velleità erano rivolte sempre più verso l’alta quota. La professione di Guida Alpina gli permetteva di passare buona parte del tempo nell’ambiente che gli si era rivelato più congegniale e dove aveva potuto trovare la sua vera altezza.

Nel 2004 l’epica cavalcata che lo consacrò definitivamente sull’Olimpo dei grandi alpinisti: scalò l’Everest ed il K2, senza ossigeno e nell’arco di una sola stagione. Ricordo che prima di partire per il K2 venne a trovarmi a casa, parlandomi dell’esperienza sul tetto del mondo con quella sua abituale semplicità, così come se si fosse trattato di una scampagnata qualsiasi. Gli donai un libro sulla storia del colosso himalayano verso cui si stava avviando.

L’anno scorso surclassò questo prestigioso primato con l’impresa sulla temuta parete Nord del Gasherbrum II. Quando poi tornava a casa in Val Gardena, non vedeva l’ora di rimettere le mani sulla dolomia. E spesso ci incontravamo su per le crode, sia nell’ambito della nostra professione, che inseguendo i propri miraggi. E allora capitava di rimembrare i tempi ormai passati, oppure di pianificare qualche salita da compiere insieme. Sul Sassopiatto uno spigolo poderoso aveva attirato la nostra attenzione e quando sarebbe tornato dalla spedizione ci avremmo messo le mani…

Quella notte in macchina, tanti anni fa, Karl mi confidò che desiderava conoscere l’Himalaya e salire le vette più alte del mondo. Penso che abbia potuto realizzare tanti dei suoi sogni. E questo è un privilegio riservato a non tutti gli uomini.

Ivo Rabanser

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Valli torinesi, condizioni cascate di ghiaccio

August 26, 2019 | News | No Comments

Aggiornamento del 06/01/2008 sulle cascate di ghiaccio nelle Valli torinesi (Valle di Viù, Vallone di Arnas, Val Soana).

Oltre al carbone, quest’anno la Befana, ha portato nelle Valli Torinesi ed Aostane sino a 40 centimetri di nuova neve piuttosto umida che sono andati ad assommarsi alle precipitazioni dei giorni precedenti.

In concomitanza a queste nevicate, un generalizzato aumento delle temperature suggerisce di attendere alcuni giorni affinché i pericoli ad esse connessi si riducano. Eccezion fatta per la Val Varaita dove la poca neve caduta, unita a temperature sempre piuttosto basse, ha permesso il regolare svolgersi dell’attività. In ogni caso anche in questa valle alle ore 18.00 del giorno 6 gennaio la temperatura al rifugio Savigliano risultava essere di + 4 gradi. Notizie pervenute da Lavatelli, Montrucchio, Sanguineti

Valli di Lanzo (Valle di Viu, Vallone di Arnas)
Vallone di Arnas – Parte alta della Valle
Info e foto risalenti al 31-12-2007 ci presentano le condizioni della bastionata della Torre.
– Magia del sogno sembra in condizioni
– The commitment non formata
– La dura Faccia della realtà difficoltà di M.. da confermare e sembra meno fornita di ghiaccio dello scorso anno
– L’altra faccia dell’amore sembra in condizioni
– Il cero di Natale sembra in condizioni
– Birthday Ice la candela non tocca
Attualmente la neve caduta non consente un approccio sicuro alla loro base ed impone almeno 3h e 30 min di marcia.
Vallone di Arnas – Parte bassa della valle
– Cattedrale di Cristallo II/4 +
– Peraciaval III/3
– Un giorno di ordinaria Follia II/5
Valle di Viù (Valle Centrale)
– Cascata del Compleanno a dx della Chandelle Gastik (non formata)

Valli di Lanzo (Val Grande)
– Cascate di Sagnasse II/3 in condizioni mediocri ma salibili.

Val Soana
– Cristal d’Arques in condizioni
– Spada di Damocle in condizioni
– Cascata di Forzo in condizioni ma molta neve

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Il 22 maggio 2010 Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti e Marco Appino hanno hanno aperto “Plein Sud”, nuova via sulla selvaggia e incredibile parete Sud delle Grandes Jorasses (Monte Bianco). In tutto oltre 900m di VI d’ambiente, WI4+/5R, M6+.

Ci sono ancora grandi pareti da esplorare sulle Alpi? La domanda potrebbe sembrare retorica, tanto si è affermato che chi "sa vedere" trova sfide ed avventure anche dietro l’angolo di casa. Ma, a guardar bene, proprio scontata non è, visto che le nuove ascensioni e la voglia di misurarsi dentro le pieghe più scomode e selvagge delle nostre montagne non sono poi così frequenti. E’ per questo che ci piace presentare la nuova via aperta da Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti e Marco Appino (3 italiani + 1 francese di origini italiane) sull’immensa e severa – quanto rarissimamente frequentata – parete Sud delle Grandes Jorasses, circa 200m piu’ alta della famosa Nord.

La loro "Plein Sud" termina a poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey. Percorre dapprima i 450m di goulottes della "Direttissima – Gianni Comino Memorial Route" o "Phantom Direct", aperta nel 1985 da Giancarlo Grassi, Renzo Luzi e Mauro Rossi. Dove Grassi & C. avevano traversato a sinistra, Plein Sud prosegue invece pressoché diritta lungo i 250 m circa del couloir centrale, fino al gran camino che nascone un’incassatissima goulotte di ghiaccio e dry-tooling. Il tutto, realizzato dopo un bivacco a poca distanza dalla crepaccia terminale, ma anche e soprattutto dopo un’attesa e uno studio della parete durati anni: per cogliere il momento giusto, quell’attimo che, se ti sfugge, rende queste pareti inafferrabili.

Plein Sud, infatti, raccoglie l’eredità visionaria di Grassi e Comino. Quella loro "pazza" e per certi versi "insana" passione per i couloir fantasma, quelli che – lo dice la parola stessa – si formano solo in particolari condizioni, o, meglio, quasi mai. Insomma: una situazione da cogliere al volo, ma anche da saper leggere e interpretare. Ultimo particolare — per capire bene di cosa stiamo parlando: quella di Plein Sud è la 5a salita della parete Sud delle mitiche Grandes Jorasses! Prima l’avevano "cavalcata" solo le cordate di: Guido Alberto Rivetti, Francesco Ravelli ed Evariste Croux (nel 1923); di Albert Rand Herron sempre con Evariste Croux (nel 1928); di Alessandro Gogna e Guido Machetto (nel 1972) e dei già citati Giancarlo Grassi, Renzo Luzi e Mauro Rossi (nel 1985). A questo punto, vale la pena rimandarvi al report dell’ascensione, di Marcello Sanguineti, e alla storia della parete Sud, scritta da Luca Signorelli

“NULLA È PIÙ POTENTE DI UN’IDEA IL CUI MOMENTO È GIUNTO”
di Marcello Sanguineti

La frase di Victor Hugo sembra far da sfondo al racconto di Gian Carlo Grassi sull’apertura della “Gianni Comino Memorial" (Grassi/Luzi/Rossi) sulla parete S delle Grandes Jorasses (La Rivista Mensile del CAI novembre-dicembre 1985, pp. 575-579) e, 25 anni più tardi, alla nostra realizzazione di “Plein Sud”. È il 1985 quando, dopo una lunga attesa e un paio di tentativi falliti, vede la luce una via-simbolo dell’alpinismo di ricerca. Nota anche come “Phantom Direct”, questa via – non ancora ripetuta – rappresenta l’archetipo della ricerca dell’effimero che caratterizzò l’alpinismo di Gian Carlo. È sulle sue orme che Sergio, Michel, Marco ed io abbiamo realizzato la nostra personale ricerca della “linea fantasma” per eccellenza, una di quelle linee magiche che si rivelano raramente negli anni e solo per pochi giorni. Ma quando compaiono, diventano parte integrante della parete: come un urlo che, a lungo taciuto, finalmente esplode.

?Da anni Sergio teneva d’occhio la Sud delle Grandes Jorasses. La osservava durante le uscite con gli sci da fondo in Val Ferret, la binocolava da ogni punto che ne potesse svelare i segreti. La chiave della salita era lassù, nel grande camino. Ma non c’era verso di sapere se quel diabolico colpo di sciabola inferto alla parete nascondesse una goulotte. L’unico modo per scoprirlo era salire fino a trovarsi a tu per tu con “il mostro”. Così come fecero Gian Carlo e soci, occorreva osservare e attendere. Guardare e aspettare. Studiare i 1200 metri che precipitano sul ghiacciaio di Pra Sec e lasciare che le temperature, il ghiaccio e la meteo offrissero l’occasione propizia. Poi, finalmente, sferrare il colpo, giocarsi tutto in una sola mano, l’unica concessa dalla parete.

?Il momento giusto sembrava arrivato l’ultima settimana di aprile. Vista da La Thuile, la parete era pronta ad offrire un’opportunità. Ma Sergio ed io non eravamo stati abbastanza veloci a coglierla, a causa di impegni di lavoro e della difficoltà di trovare uno o due altri soci. In queste occasioni chi tergiversa è punito e così è accaduto a noi. Arrivato il brutto tempo, per  un paio di settimane le condizioni in quota non invogliavano certo a fare un tentativo. Poi, finalmente, ecco ritornare l’anticiclone, insieme a temperature accettabili. Ma anche in questo caso, abbiamo rischiato di perdere il treno. I soliti impegni di lavoro non ci hanno consentito di sfruttare le due giornate più propizie, in quanto più fredde (mercoledì 19 e giovedì 20 maggio). Tutto sembrava esser saltato quando, all’ultimo momento, siamo riusciti a mettere insieme due cordate: Sergio e Michel, Marco ed io. Il tavolo di poker era al completo: noi quattro e lei, la “linea fantasma”.

?Venerdì 21 maggio, partiti alle 14:30 dagli chalets di Tronchey, verso le 19 siamo a un centinaio di metri dalla terminale, sotto una parete rocciosa, in un buon posto da bivacco. Due di noi vanno in perlustrazione fino alla terminale. L’idea iniziale era quella di portarsi in alto già il primo giorno, per bivaccare all’inizio del couloir centrale, dove la Grassi/Luzi/Rossi traversa a sinistra. Purtroppo, però, a quell’ora le prime goulottes sono trasformate in vere cascate d’acqua. In compenso, scopriamo che la terminale è semplicissima da superare. Incredibile! E pensare che, prima di vederla da vicino, eravamo rassegnati a giochi di equilibrismo, corde fisse e chissà cos’altro per superarla…

?Rientrati al posto da bivacco, mettiamo la sveglia verso l’una e un quarto e partiamo alle due di sabato notte. I primi 450 metri di goulotte, fino a WI4+, se ne vanno veloci, al buio, di conserva assicurata. Nella cascata della “forra”, come la definì Grassi, non vogliamo rischiare inutilmente e facciamo un bel tiro, che, dopo un’altra trentina di metri più facili, porta nel canale di accesso al gran camino, che si sviluppa con pendenze sui 50°.

?Verso le 7 siamo alla base del “mostro”. Dannazione! Neppure da qui si vede se c’è una goulotte che lo percorre fino in cima… Ancora una volta non ci resta che proseguire, incrociando le dita. Sento che inoltrarsi in questa parete è un po’ come entrare di nascosto nella dispensa della nonna per rubare la marmellata. “Allora speriamo di non essere scoperti”, penso sorridendo a me stesso. Il primo tiro, molto piacevole e delicato da proteggere, è su ghiaccio sottilissimo – non c’e verso di piazzare neppure le viti cortissime. Per fortuna, chiodi, nuts e friends non ci mancano. Poi la goulotte si allarga in una conchetta nevosa e, finalmente, ecco comparire una vaga ed inquietante goulotte, che s’insinua incerta fra gli strapiombi del camino. Ma allora dentro il “mostro” una strada, per quanto complessa, c’è!

A stento tratteniamo esclamazioni di sorpresa e gioia, anche se sappiamo che non si concederà facilmente. Un altro tratto tiro di goulotte precede due lunghezze letteralmente spettacolari. Dopo alcuni metri con ghiaccio che ci consente addirittura di piazzare una vite media, ecco uno dei tratti-chiave: prima di cedere, costringe Michel e il sottoscritto a togliersi gli zaini, che recupereremo una volta in sosta. L’avanzata nell’angusta goulotte è spesso sbarrata da enormi “bouchons” di neve, che richiedono un logorante lavoro di pulitura. A questi si alternano tratti di dry che ci impegnano a fondo, visto che, tra l’altro, siamo poco sotto i 4000m, carichi del materiale da bivacco e già con parecchie centinaia di metri sulle spalle. Il tutto, tenuto conto della roccia poco chiodabile ai lati e pessima sul fondo del diedro-camino (di alcune scariche faranno le spese un casco, un paio di occhiali e un chiodo di sosta), ci impegna non poco. Ma il contesto e l’arrampicata sono esaltanti!

Di fronte alle stupende lunghezze che la via continua ad offrirci, la gioia inquieta dei momenti più intensi permea ogni nostro movimento. A poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey, la goulotte termina e si trasforma in una sorta di diedro roccioso aperto, intasato da enormi strutture nevose. Verso le 12:30 iniziamo le doppie, che attrezziamo (a volte in modo spartano) fino al ghiacciaio di Pra Sec, dove arriviamo alle 18:30 circa. Una sosta, poi ancora giù, fino alla Val Ferret e alla pizza che divoriamo a La Palud.

?Rivivendo con gli occhi della mente la nostra avventura, mi viene da pensare che la realizzazione di “Plein Sud” sia riuscita perché abbiamo affrontato la parete con lo stesso spirito di Grassi: una visionaria, ma lucida, incoscienza.

PLEIN SUD – Grandes Jorasses, parete S
Prima salita: Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti, Marco Appino il 22 maggio 2010
Sviluppo: 900m
Difficoltà: VI, WI4+/5R, M6+
Materiale utile: 1 serie di friends (anche misure piccole) fino al Camalot #2, nuts, viti da ghiaccio: 5 medie, 3 corte, 2 cortissime, chiodi da roccia (lost arrows, unversali e, soprattutto, lame)
Breve descrizione:
1. 450 m goulottes della ”Direttissima” – “Gianni Comino Memorial Route” (o "Phantom Direct", Grassi/Luzi/Rossi 1985)
2. Couloir fino al gran camino 250m
3. Goulotte di ghiaccio e dry nel camino 200m

Marcello Sanguineti ringrazia TrangoWorld (www.trangoworld.com) e Grivel (www.grivel.com)

>> La storia della SSE DELLA GRANDES JORASSES di Luca Signorelli

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Ouray Ice Festival 2010

August 26, 2019 | News | No Comments

Dal 7 – 10 gennaio ad Ouray in Colorado (USA) si è svolta la XV edizione del Festival internazionale di arrampicata su ghiaccio che ha attirato migliaia di ice climber. La gara è stata vinta da Josh Wharton (USA) ed Ines Papert (GER). Will Gadd è stato protagonista di una 24ore di arrampicata non-stop per beneficenza. Ines Papert ci racconta cosa è successo.

"Nel 2009 mi sono persa l’Ouray Ice Festival, il Festival per i cascatisti più grande del mondo. Mentre, la notte tra il 12-13 gennaio, tremavo nel bivacco su una fredda parete nord dell’Himalaya, i miei amici ballavano fino alle ore piccole nella cittadina del Colorado. Dal 2003 non avevo quasi mai saltato un meeting… Così quest’anno, assieme a Rolf Eberhard, ho preso il lungo volo fino a Denver, poi ho continuato per Montrose e poi, con un’altra ora di macchina, abbiamo raggiunto quel remoto villaggio a circa 3000m di altitudine. Siamo stati accolti da un grande striscione con le parole "Welcome ice climbers" e, ancora una volta, migliaia di fanatici del ghiaccio si sono presentati alla manifestazione. Nel 2005 ho vinto la gara battendo persino gli uomini, questo è uno dei motivi per cui la gente mi conosce ad Ouray… Così quasi tutti si aspettavano che io facessi lo stesso anche quest’anno, tranne io stessa. Sapevo che, per vari motivi, non avevo avuto abbastanza tempo per allenarmi bene.

I workshop tenuti da arrampicatori e alpinisti famosi come l’alpinsta leggenda Steve House si sono rivelati momenti estremamente positivi, così come le lezioni dell’ "esperto di offwidth" Andres Marin e della cascatista Caroline Ware. Gli organizzatori hanno ricevuto con gratitudine un assegno a cinque cifre grazie alla generosità degli arrampicatori statunitensi. Anche perché il denaro viene sempre speso bene: ogni anno gli organizzatori offrono qualcosa di nuovo per gli scalatori, come il "Kidswall" realizzato lo scorso anno, dove in quest’edizione 160 bambini per la prima volta sono riusciti a scalare su ghiaccio.

Uno degli highlight indiscussi di questo Festival è stato Will Gadd e la sua salita di beneficenza "Endless Ascent". Si era proposto l’obiettivo di arrampicare senza sosta per 24 ore su una via di 40m di grado W14 nel tentativo di coprire la distanza che c’è tra il Campo Base e la cima dell’ Everest.. Molti degli spettatori hanno assistito allo spettacolo, anche durante la notte. Alle 6.00 di domenica mattina ho sostenuto Will con una tazza di caffè caldo e brioche; sembrava stanco, ma lui non si arrende mai. Grazie alla sua incredibile determinazione è riuscito a ripetere la via per (un’incredibile) 194 volte (n.d.r. per un totale di 7760m, il doppio del suo obiettivo originale.) E, ancora una volta gli alpinisti stetunitensi hanno risposto con generosità, con le loro donazioni per i bambini dell’ Himalaya.

In concomitanza con tutto questo, c’era anche la competizione. Vince Anderson aveva speso giorni a tracciare una via di misto difficile, che si è tradotta in un M9 di 50m con una partenza da seduto . Quando è arrivato il mio turo sono partita, ed improvvisamente mi sono resa conto di essere sotto la tenda di ghiaccio finale. Ho sentito la voce dello speaker in sottofondo chiamare 5 minuti. "Andiamo in cima, accelerare non ha mai fatto male a nessuno!" ho pensato, mentre colpivo il ghiaccio con la piccozza. Ma giusto in quel momento il ghiaccio si è frantumato e mi sono trovata appesa alla corda. Ero felice di aver vinto la gara femminile ma un po’ delusa anche, perché ero soltanto al 3° posto assoluto.

Quest’evento è stato un momento per scambiarci esperienze, avventure ed idee, progettare spedizioni future e, purtroppo, dire addio a Guy Lacelle scomparso di recente. A volte dolore e lutto, sogni e fortuna si trovano così vicini.

Ines Papert

Risultati Ouray 2010
Uomini
1. Josh Wharton
2. Sam Elias
3. Will Mayo

Donne
1. Ines Papert
2. Audrey Gariepy
3. Dawn Glanc

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James Pearson, 9a a Perles in Spagna

August 26, 2019 | News | No Comments

Il climber inglese James Pearson ha ripetuto Escalatamasters 9a nella falesia di Perles, Spagna.

Ci aveva già accenatto di averla provata e di esserne interessato l’altro giorno, quando la sua fidanzata Caroline Civaldini aveva chiuso Mind Control ad Oliana. Adesso invece è arrivata la buona notizia: James Pearson è riuscito a salire il suo primo 9a, Escalatamasters nella falesia di Perles in Spagna

Aperta sa Ramòn Juiliàn Puigblanque, Pearson aveva iniziato a tentarla nel dicembre 2011, poi ieri sera è arrivata la rotpunkt della vai. “Forse la via più bella che abbia mai visto!” ha poi commentato Pearson.

Nienete male per uno dei più forti climbers inglesi che vanta performance impressionanti anche sulle pericolose vie tradizionali (fino a E10), il boulder (8b flash nel 2007) e lunghe vie di più tiri, come per esempio gli 800m di Joy Division 8b in Val di Mello.

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Dave Birkett ripete The Walk of Life

August 26, 2019 | News | No Comments

Dave Birkett ha realizzato la terza salita di The Walk of Life a Dyer’s Lookout, North Devon, Inghilterra.

Qualche giorno fa il climber inglese Dave Birkett si è spostato a sud della sua “roccaforte” nel Lake District per effettuare la terza salita di The Walk of Life, l’immacolata placca liberata da James Pearson nel settembre 2008 a Dyer’s Lookout, North Devon Inghilterra.

La via era stata ripetuta da Dave Macleod nel gennaio del 2009 e lo scozzese aveva suggerito il grado di E9 6c, una visione che ora Birkett condivide. La salita di Birkett è arrivata al quarto giorno e il 42 enne climber ha descritto così la via: “E’ un muro di straordinaria bellezza su una lavagna di roccia incredibile. Quando mi sono trovato li, alla base, sapevo che non potevo non salirla. E’ in una posizione straordinaria. Quando tutti i discorsi e il casino del grado si assestano, sarà definita come una moderna classica estrema del 21° secolo. Il Cenotaph Corner della contea di Devon.”

Per che hanno meno familiarità con la storia dell’arrampicata britannica aggiungiamo una piccola nota: Cenotaph Corner si trova nella falesia di Dinas Cromlech in Galles, e la famosa prima salita risale al 1952 quando il leggendario Joe Brown ha salito il diedro bagnato con solo un paio di calze ai piedi. La via è un eterno monumento alla brillantezza di Brown e questo E1 è probabilmente la più famosa via trad in Gran Bretagna di tutti i tempi. Dunque, quello di Dave Birkett è un bel paragone e un gran complimento per Walk of Life!

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