Category: News

Home / Category: News

Il climber tedesco Alexander Megos ha effettuato la prima salita di Schweinebaumeln 9a (35) nella falesia Elphinstone, Blue Mountains, Australia.

Alexander Megos è attualmente in tour in Australia dove già nel 2013 aveva liberato il primo 9a del continente, Retired Extremely Dangerous a Diamond Fall nelle Blue Mountains. Ora il tedesco raddoppia, dopo soli 5 tentativi in due giorni, con la prima salita del Schweinebaumeln ad Elphinstone. Spittata da Lee Cossey, questa linea di 35m era solo uno dei tanti difficili nuovi progetti di questa eccezionale falesia, venuta alla ribalta internazionale all’inizio del 2015, quando Monique Forestier aveva ripetuto l’8c Tiger Cat.

Click Here: IQOS White

Megos è evidentemente in grande forma: infatti è riuscito a salire in stile flash pochi giorni fa proprio Tiger Cat, mentre prima di arrivare in Australia aveva fatto tappa in Giappone dove aveva velocemente salito l’8C boulder Kanoto prima di ripetere Flat Mountain, il 9a/+ liberato nel 2003 da Yuji Hirayama.

Il 9/09/2014 Hansjörg Auer e Gerhard Fiegl hanno salito The Music of Hope (7a, A1, 500m), una nuova via sulla parete Kristallwand, Kirchkogel, Austria.

“Non diventerà mai una classica con cinque stelle e in verità non riesco nemmeno ad immaginare che avrà molte ripetizioni. Ma era lì e prima o poi qualcuno la doveva salire.” Ecco come l’alpinista austriaco Hansjörg Auer ci ha descritto la sua ultima via sulla Kristallwand, la grande parete nord della Kirchkogel (3280m), la montagna nascosta tra le pieghe della Gaisbergtal nelle Alpi Venoste in Austria.

Nel marzo del 2012 Auer aveva aperto la prima via su questa friabile parete con la sua The Music of Chance (6c/A3), una via aperta in diverse riprese assieme ai suoi fratelli Vito e Matthias, Ben Lepsant, Elias Holzknecht e Berti Gleirscher, mentre nel gennaio di quest’anno Auer è tornato insieme a David Lama per tentare una linea sul lato destro della parete.

L’idea era quella di provare ad aprire una via senza spit come allenamento per la loro spedizioni al Masherbrum, ma il tentativo è stato interrotto quando una grossa lama si è staccata, mandando improvvisamente Auer verso il basso. Non volendo prendere troppi rischi i due hanno deciso di abbandonare quel tentativo e soltanto quest’estate Auer è riuscito a trovare la motivazione necessaria per ritentare la linea. A rendere la cosa ancora più difficile c’era il dubbio che in estate (e quindi con temperature più elevate), la roccia sarebbe stata ancora meno solida che in inverno. Ma la voglia di Auer di scoprire l’ignoto ha preso il sopravvento…

Il 9 di di settembre Auer, insieme a Gerri Fiegl, ha salito i 500 metri in 9 snervanti ore. La nuova via si chiama The Music of Hope, è gradata 7a, A1 ed è protetta soprattutto da Bird Beaks (piccole lamette sagomate a becco d’aquila). Nessuno spit è stato utilizzato e la guida alpina austriaca ha descritto la salita come “12 ficcanti tiri, molta roccia friabile, una vera avventura …”

The Music of Hope
Kristallwand, Kirchkogel, Austria
Prima salita: Hansjörg Auer e Gerri Fiegl, 09/09/2014. Primo tentativo Hansjörg Auer e David Lama 01/2014
Difficoltà: 7a, A1, 500m
I tiri: L1: 4, L2: 4, L3: 6a+, L4: 7a, L5: 6c, L6: 6c+, L7: 6a/a1, L87a, L9: 6a, L10: 6a/A1, L11: 6a+, L12: 6a + 200m di facili roccette per arrivare in cresta

Passeggiate a misura di bambino in Piemonte

August 19, 2019 | News | No Comments

Franco Voglino e Annalisa Porporato presentano tre itinerari adatti per camminare con i bambini in Piemonte e tratti dal loro nuovo libro Hotel a mille stelle: Passo della Forchetta e il Rifugio Salvin, Lozet, Autagnas e Soubras e il Rifugio La Chardouse e Lago Laus e il Rifugio Selleries.

“Papà, papàààà lo sai che Nora sabato è andata a dormire in un rifugio??!! Papà lo facciamo anche noi???”
“Dormire in rifugio? Maaaa… sei mattoooo? I rifugi sono quei posti selvaggi che raggiungi sulla cima della montagna con una marcia forzata e, dopo tanta, tanta fatica, sei costretto a dormire su un tavolaccio di legno con altre venti persone per scaldarsi dal freddo notturno, dopo una cena spartana a base di minestrone alle cipolle sbattuta rudemente nel piatto. Se sei fortunato come dolce c’è un po’ di polenta avanzata dal giorno prima, condita con il succo amaro delle bacche di montagna, da bere c’è solo il genepì… E la colazione, poi? Viene servita alle quattro del mattino dopo la sveglia del gestore che urla a squarciagola : è proooontaaaa pelandroooniiiiii!!!!! Poi ti danno corda e piccozza e ti fanno uscire al buio e al gelo della notte controllando, prima che si parta , che la tua meta contempli almeno una camminata di 4 ore o una cima al di sopra dei 3000 metri. Solo chi porterà documentazione certa e inequivocabile di aver raggiunto la destinazione potrà tornare a cenare al rifugio alla sera…”

… Ma esisterà o è mai esistito un rifugio così? Forse solo nei racconti o nella fantasia del rag. Fantozzi. Oggi, i rifugi di bassa e media quota sono ormai quanto di più lontano si può pensare da questo ormai datato immaginario. Va bene, son pur sempre rifugi e non alberghi, ma proprio in questo sta il loro fascino: servizi essenziali ma completi, con una meravigliosa e privilegiata visione su cieli stellati e cime immacolate, immaginando per una notte di essere arditi esploratori e alpinisti, senza rinunciare completamente alle comodità.
Si devono raggiungere a piedi? Al massimo in due-tre ore, il giusto per riempire la mattinata (o il pomeriggio) e farsi venire appetito.
Dormire su tavolacci in camerate? Quasi tutti i rifugi dispongono ormai di camerette. Certo, ci sono i letti a castello, ma per i bimbi è un sicuro divertimento! Oppure potrebbe capitare di dormire in camere più “affollate”, ma per i bambini potrebbe essere certo un valore aggiungo, è puù facile che il problema se lo pongano gli adulti ma potrebbe essere un modo per tornare ragazzini al campo-scuola, o alla casa alpina, o comunque alle prime gite di gruppo.
Solo minestrone, solo salame e formaggio, solo polenta? Una cosa che non manca nei rifugi è una cucina in grado di soddisfare qualsiasi palato. In alcuni di essi, anzi, è proprio la bontà della cucina che richiama i visitatori!!
Colazione all’alba? Certo, se volete salire su qualche cima, ma la frase tipica che vi sarà rivolta alla sera sarà: “serviamo colazioni tra le sette e le nove, se la volete prima siete pregati di avvisarci”.
Non vi resta che scegliere il rifugio a misura di bimbo che più vi piace e partire con tutta la vostra bella famigliola… dormirete a due (piccoli) passi dal cielo, in vero e proprio hotel… a 1000 stelle!
Buona permanenza.

SCHEDA: Passo della Forchetta e il Rifugio Salvin

SCHEDA: Lozet, Autagnas e Soubras e il Rifugio La Chardouse

SCHEDA: Lago Laus e il Rifugio Selleries

Hotel a mille stelle
Rifugi baby friendly + passeggiate a misura di bambino in Piemonte. Di Franco Voglino e Annalisa Porporato, espressione editore 2014

INDICE
01 – Bruno Piazza 1050 mslm (Valchiusella – TO) – si raggiunge a piedi con 230 metri di dislivello, 45 minuti, difficoltà facile
02 – Guido Muzio 1667 mslm (Valle Orco – TO) – si raggiunge in auto
03 – Salvin 1580 mslm (Valli di Lanzo – TO) – si raggiunge in auto
04 – G.E.A.T. Val Gravio 1390 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge a piedi con 270 metri di dislivello, 1 ora e 30 minuti, difficoltà facile
05 – Levi-Molinari 1850 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge a piedi con 50 metri di dislivello, 15 minuti, difficoltà molto facile
06 – Daniele Arlaud 1770 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge a piedi con 120 metri di dislivello, 1 ora e 30 minuti, difficoltà facile
07 – La Chardouse 1659 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge in auto oppure a piedi con 470 metri di dislivello, 1 ora e 30 minuti, difficoltà facile)
08 – Baita Gimont 2013 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge a piedi con 280 metri di dislivello, 1 ora, difficoltà facile
09 – Foresteria della Certosa di Montebendetto 1130 mslm (Val di Susa – TO) – si raggiunge in auto
10 – La Madlena 761 mslm (Val Sangone – TO) – si raggiunge in auto
11 – Melano – Casa Canada 1060 mslm (Val Lemina – TO) – si raggiunge a piedi con 50 metri di dislivello circa, 40 minuti, difficoltà facile
12 – Selleries 2013 mslm (Val Chisone – TO) – si raggiunge in auto oppure a piedi con 400 metri di dislivello, 7 km, 2 ore e 15 minuti, difficoltà media
13 – Troncea 1915 mslms (Val Troncea – TO) – si raggiunge a piedi con 330 metri di dislivello, 2 ore, difficoltà media
14 – Willy Jervis 1732 mslm (Val Pellice – TO) – si raggiunge a piedi con 500 metri di dislivello, 2 ore, difficoltà media
15 – Locanda del Sorriso 1096 mslm (Valle Gesso – CN) – si raggiunge in auto
16 – Rifugio San Giacomo-Alpi Marittime 1213 mlm (Valle Gesso – CN) – si raggiunge in auto
17 – Soria-Ellena 1840 mslm (Valle Gesso – CN) – si raggiunge a piedi con 630 metri di dislivello, 3 ore, difficoltà media
18 – Morelli-Buzzi 2351 mslm (Valle Gesso – CN) – si raggiunge a piedi con 1006 metri di dislivello, 4 ore, molto impegnativo
19 – Valasco – Reale Casa di Caccia 1764 mslm (Valle Gesso – CN) – si raggiunge a piedi con 400 metri di dislivello, 1 ora e 30 minuti, difficoltà facile
20 – Pian delle Gorre 1032 mslm (Valle Pesio – CN) – si raggiunge in auto oppure a piedi con 200 metri di dislivello, 1 ora e 30 minuti, difficoltà media

Click Here: argentina rugby jersey for sale

Pamela Shanti Pack – Off-width Outlaw

August 19, 2019 | News | No Comments

Il cortometraggio Offwidth Outlaw di Celin Serbo dedicato all’arrampicatrice statunitense Pamela Shanti Pack, tra i massimi esperti al mondo dell’arrampicata off-width.

“Forse sali un paio di centimetri, poi vai in iperventilazione per 30 secondi. E poi forse guadagni pochi altri centimetri.” Ecco come la statunitense Pamela Shanti Pack descrive la sua più grande passione, l’arrampicata off-width, ovvero quelle enorme fessure “fuori misura” che richiedono di usare tutto il corpo, e tutta l’inventiva possibile, per essere salite. E’ un’arrampicata fisica, brutale ma allo stesso tempo un’arte particolare che però piace a pochi. Per molti anni Shanti Pack si è trovata a Indian Creek, Vedauwoo e Zion, a salire come una offwidth outlaw, una bandita delle offwidth.

Angelika Rainer all’Ice Festival di Ouray

August 19, 2019 | News | No Comments

Il report di Angelika Rainer dell’Ouray Ice Festival, il meeting e la competizione di arrampicata su ghiaccio tenutasi dall’8 all’11 gennaio e vinta dalla climber altoatesina e dal canadese Will Gadd.

Dopo aver gareggiato per dieci anni nella Coppa del Mondo di Ghiaccio, e non aver mai saltato una gara degli ultimi sei anni, avevo bisogno di una pausa, per ritrovare gli stimoli giusti e per vedere posti nuovi di scalata; così ho deciso di andare a Ouray in Colorado, per il tradizionale Ice Festival, giunto alla ventesima edizione!

Il posto è incantevole, gli americani chiamano la contea di Ouray la “Svizzera d’America”; si tratta di un paesino di circa 850 persone posto a quasi 2500m slm, al di sopra del quale si trova un lungo canyon che da novembre a marzo viene spruzzato di acqua nebulizzata per creare cascate di ghiaccio incredibili, di ogni forma e difficoltà. Qui ogni anno si ritrovano moltissimi appassionati per scalare su ghiaccio oppure sulle vie di misto naturale presenti nel canyon.

Durante lo scorso fine settimana si è svolto il tradizionale Ice Festival, dove decine di Outdoor brands hanno potuto montare i loro stand espositivi per far vedere e testare tutti i materiali al pubblico. Questa è una formula molto interessante che in America viene utilizzata già da parecchi anni: in pratica, dopo essersi iscritti, ognuno può andare da qualsiasi espositore e chiedere di testare del materiale che gli viene prestato per tutto l’arco della giornata di scalata, alla fine della quale può decidere se comprarlo o provare un altro prodotto.

Durante questo festival ho avuto la possibilità di scalare parecchie vie di ghiaccio e misto, come “The flying circus” lo storico M10 che sono riuscita a chiudere il primo giorno ad Ouray. All’interno del canyon ognuno può decidere se scalare da primo o con la corda dall’alto, facilmente posizionabile prima di calarsi nel canyon, e questo permette a tutti di poter provare a piacimento e in piena sicurezza qualsiasi tipo di via!

Sabato ho partecipato alla gara, che ha una formula particolare: uomini e donne scalano la stessa via di misto, composta da 7/8 metri di ghiaccio verticale, da più di 15 metri di roccia strapiombante e da un pannello artificiale di 6/7 metri dove i tracciatori hanno posizionato tre fessure. Non è stato possibile provare la via prima della gara, anche se i locals e chi ha già partecipato all’evento negli anni precedenti già la conoscevano, e quindi ho scalato a vista. Questa nuova formula di gara, mi è piaciuta da subito, e questo ambiente così naturale mi ha caricato, tanto che sono riuscita a vincere, salendo più in alto delle altre ragazze, e con un tempo minore! Purtroppo non sono riuscita a chiudere la via; la seconda delle tre fessure del pannello finale era praticamente impossibile da tenere, tanto che nemmeno gli uomini sono riusciti a salire più alti di me! Sono rimasta piacevolmente sorpresa nel vedere che ero seconda anche nella classifica generale mista, dove davanti a me si è posizionato solo il canadese Will Gadd. Ottima la prova del francese Simon Duverney, secondo e del colombiano naturalizzato americano Andres Marin, terzo. In campo femminile, dietro di me è arrivata la fortissima Canadese Sarah Hueniken e l’americana Katie Bono, con le quali ho scalato anche nei giorni precedenti alla gara.

È stata un’esperienza magnifica, scalare in un posto come Ouray, con così tante vie e insieme a molti dei miei amici, mi ha di nuovo dato la carica per le prossime tappe di Coppa del Mondo, che si svolgeranno in Europa, tra Svizzera, Italia e Francia!

Spero di poter ritornare ad Ouray anche il prossimo anno per provare altre vie ed altre cascate, è un luogo dove ogni ice climber dovrebbe andare almeno una volta nella vita!

di Angelika Rainer

Final results of the 2015 Ouray Ice Festival Elite Mixed Climbing Competition.
Women

Angelika Rainer (second overall)
Sarah Hueniken
Katie Bono
Jen Olson
Ines Papert
Emily Harrington
Kendra Stritch
Dawn Glanc
Sasha DiGiulian
Beth Goralski

Men
Will Gadd (first overall)
Simon Duverney
Andres Marin
Sam Elias
Justin Willis
Matthieu Maynadier
Ryan Vachon
Kyle Dempster
Jason Nelson
Mael Baguet
Chance Ronemus
Will Mayo
Kurt Ross
Adam Daily
Carter Stritch
Marcus Garcia
Jedrzej Jablonski
Phil Wortmann
Luke Lydiard
Aaron Montgomery

Click Here: USA Mens Soccer Jersey

Daniele Nardi e il suo quarto tentativo invernale al Nanga Parbat (8125 metri, Pakistan). Intervista di Valentina d’Angella.

Daniele Nardi è partito per il Pakistan il 24 dicembre scorso. L’obiettivo è a salita invernale del Nanga Parbat, l’unico dei 14 Ottomila, insieme al K2, che ancora non è stato scalato nella stagione più fredda, quella più difficile. E’ il quarto anno di seguito che l’alpinista di Sezze tenta questa salita. Quasi un’ossessione verrebbe da dire e, allo stesso tempo, una grande storia, con il Nanga Parbat simile a Moby Dick. Non a caso sulla stessa montagna ad inseguire la prima invernale ci sono altre quattro spedizioni. Quella degli italiani Simone Moro e Tamara Lunger, che hanno in progetto di percorrere la via Messner aperta nel 2000 sul versante Diamir. Quella dei polacchi Adam Bielecki e Jacek Czech che punta alla via Kinshofer (versante Diamir). Quindi quella di Elisabeth Revol (Fra), Tomek Mackiewicz (Pol) e Arslan Ahmed Ansari (Pak) che tenterà anch’essa la via Messner 2000 (Diamir). Infine la spedizione composta da 7 alpinisti polacchi e due pachistani, guidata da Marek Klonowski, che hanno in programma di salire la via Schell sul versante Rupal. Dal canto suo Daniele Nardi tenterà anche lui, insieme a Alex Txikon (Spa) e Ali Sadpara (Pak), di arrivare in vetta dal versante Diamir lungo la “classica” via Kinshofer. E’ chiaro che questi sono solo i programmi. Molto, infatti, dipenderà dalle condizioni della montagna ma anche (magari) se e come i team, specialmente quelli impegnati sulla stessa salita, decideranno di collaborare. Daniele Nardi l’inverno scorso, lungo lo Sperome Mummery, sempre con Alex Txikon e Ali Sadpara, aveva raggiunto i 7830 metri. E’ la quota più alta raggiunta sul Nanga in invernale, alla vetta mancavano solo 300m… Ma, si sa, il Nanga Parbat, come la balena bianca, è un mito (forse) inafferrabile. Poi oltre la vetta e l’ossessione, come sembra dirci Daniele Nardi in questa intervista a Valentina d’Angella, c’è dell’altro…

Daniele, di nuovo al Nanga Parbat d’inverno, è un’ossessione?
Direi di no. Anzi quest’anno non volevo partire, sono stato molto indeciso. Poi però ho cambiato idea per due motivi. Il primo motivo è la volontà di non lasciare le cose a metà: sono 3 anni che ci provo e, sebbene l’anno scorso siamo arrivati davvero vicini alla vetta, di fatto rimane una salita incompleta. Il secondo motivo è legato ad Alex, con cui dall’anno scorso siamo diventati molto amici: ci teneva molto a tornare e mi ha chiesto di ritentare assieme. Le due cose mi hanno convinto a tornare al Nanga Parbat: non si tratta di dimostrare niente a nessuno, torniamo per noi, torno per me, non per arrivare in cima a tutti i costi per primo.

Che bilancio fai delle spedizioni passate: 3 sconfitte?
La vera sconfitta è non essere riuscito a trovare la squadra giusta per completare la salita allo Sperone Mummery, una squadra ragionevole che condividesse il mio sogno. Questo è il mio grande cruccio perché continuo a pensare che sia una scalata fattibile e meno rischiosa di quanto si pensi. In questi anni ho potuto studiare tutti i canali di salita e discesa molto bene e so che si può fare, da soli però oltre i 6000 metri raggiunti l’anno scorso è veramente dura. Per il resto direi che è un bilancio positivo. L’anno scorso siamo arrivati a 7830 metri e poi ridiscesi: abbiamo portato a casa la soddisfazione e l’orgoglio che si provano quando sai di aver fatto la scelta giusta, siamo stati in grado di capire che Ali stava male e di ridiscendere con lui, abbiamo scelto la vita e non la vetta. E poi considero tutte e 3 le spedizioni un grande bagaglio di esperienza, perché prima non avevo idea di come funzionassero le spedizioni sugli 8000 d’inverno: andarci mi è servito a imparare e a capire.

Quale sarà la tua strategia quest’anno?
Quest’anno torno sul versante Diamir e sulla via Kinshofer con Alex Txikon e Ali Sadpara. Niente Sperone Mummery. La salita dello Sperone in stile alpino è qualcosa di innovativo e l’innovazione fa paura e al contempo implica molti imprevisti, che soprattutto d’inverno riducono davvero tanto le possibilità di successo. La via Kinshofer invece la conosciamo già, e questo significa potersi concentrare su un buon piano di salita. Sarà una spedizione classica con l’uso di corde fisse che in caso di necessità permettono un rientro al campo base veloce.

L’anno scorso hai avuto problemi con Elisabeth Revol e Tomek Mackiewicz, quest’anno Janusz Golab e Ferran Latorre hanno rinunciato. È un tasto dolente quello dei compagni di spedizione?
Purtroppo quello che l’anno scorso è successo a me, quest’anno è capitato ad Alex ed indirettamente ancora a me visto che siamo nella stessa spedizione. Januzs Golab e Ferran Latorre, sono amici di Alex, ci facevamo affidamento, ma all’ultimo momento hanno deciso di non partire più, il primo non ce l’ha neanche comunicato, Ferran invece ha collaborato molto per aiutarci a sistemare le cose. La cosa ha creato problemi perché fare a meno di due persone d’inverno può mettere in difficoltà il resto del gruppo. Non è facile costruire una squadra, sono tante le variabili e soprattutto con una salita difficile si rischia la vita. Trovare persone che volessero venire con me allo Sperone Mummery è sempre stato un problema e l’anno scorso ho vissuto un momento molto difficile. Con Elisabeth avevamo già scalato nell’inverno del 2013, era per me la compagna di cordata ideale, quell’anno avevamo veramente spinto al limite lo stile alpino arrivando a 6400 metri. Poi ci siamo preparati di nuovo insieme scalando 3 pareti nord nell’arco di una settimana sugli Ecrins, ci eravamo allenati per completare la salita dello Sperone. L’anno scorso c’era anche Roberto Delle Monache di supporto, mentre Tomek era venuto con noi al campo base con la libertà poi di scegliere se andare da solo o unirsi a noi. Mai mi sarei aspettato che avrebbero preso accordi fra di loro una volta al base e se ne sarebbero andati da un’altra parte. Rispetto il fatto che si possa aver paura o si possa cambiare idea, succede tantissime volte sulle Alpi figuriamoci in Himalaya. Per cui quando Elisabeth ha rinunciato, non ho potuto fare altro che prenderne atto, perché alpinismo vuol dire rischio e quindi nessuno può decidere per gli altri. Detto questo è chiaro che la cosa mi ha fatto incazzare perché mi sono trovato di punto in bianco da solo, ed organizzare la spedizione mi era costato tanto sia in termini economici che di tempo. Quello che più mi è dispiaciuto è stata la mancanza di onestà. All’improvviso una ricognizione in alta quota è diventata un tentativo e sono scomparsi per 12 giorni senza nessuna comunicazione con il campo base. Questo mi ha messo veramente in difficoltà, non potevo continuare a scalare sereno in attesa di loro notizie. Dopo un po’ di giorni credo sia normale cominciare a preoccuparsi, in inverno poi, e sul Nanga Parbat: al base eravamo tutti in agitazione senza notizie. Credo che trovare i compagni giusti sia la cosa più difficile nelle spedizioni.

Chi è per te un alpinista e tu che alpinista sei?
Provengo da una zona in cui andare in montagna non è scontato, anzi è scomodo. Molto bello per l’arrampicata sportiva ma per la montagna vera e propria devi andarti a cercare dei luoghi particolari. Allo stesso tempo questa condizione mi ha avvicinato all’alpinismo in maniera diversa ed è questo che mi fa sentire un alpinista particolare, forse un “Appenninista”. La montagna me la sono sempre dovuta andare a cercare e fortunatamente non sono stato neanche vittima delle culture locali perché al mio paese, poco a sud di Roma, di cultura di montagna intesa nel senso alpinistico ce n’è veramente poca. Mi sono dedicato a montagne spesso sconosciute, di 2000 metri, su cui scalare vie tecniche che mi hanno preparato alle Alpi. E più facevo vie in Appennino più mi rendevo conto che alcune vie sulle Alpi mi restavano facili, perché se le pareti appenniniche non le prendi per il verso giusto possono essere molto pericolose. Attraverso i libri, le esperienze sulle mie montagne e in Himalaya mi sono sentito libero di scegliere e di vivere la montagna senza condizionamenti. Chi sono per me in generale gli alpinisti? Tutti coloro che usano mani e piedi per scalare una montagna.

Tu sei sempre stato molto mediatico. È una tua attitudine o una necessità del mondo di oggi?
Non penso che il mondo ci imponga di essere mediatici. Voglio dire, sarebbe così se il ritorno economico che deriva dalla comunicazione fosse significativo. Lo è per un calciatore, per un cestista, e per altri, ma questi sport non sono paragonabili all’alpinismo. Parlando del largo pubblico e facendo un paragone con le altre attività sportive, né le aziende, né la maggior parte delle persone sta lì attaccato al televisore ad aspettare la comunicazione dell’alpinista. L’alpinismo non è ancora così mediatico da essere la comunicazione un bisogno esterno. Secondo me è invece un bisogno dell’alpinista. Sono io che voglio comunicare perché mi piacere far conoscere ciò che faccio, la mia passione, l’alpinismo in generale. Non per forza la grande impresa, ma anche una piccola storia per far vivere agli altri l’avventura e le emozioni che vivo in montagna. Questo vale in generale poi ci sono le eccezioni, dove magari un po’ di business c’è davvero anche nell’alpinismo. Per fortuna di gente e di aziende che seguono gli alpinisti ce n’è sempre di più.

Comunicherai durante la spedizione?
Si, comunicherò durante la spedizione e quello che non mostrerò durante la spedizione andrà nel film a cui stiamo lavorando. Racconta dal mio punto di vista quello che io ho vissuto in questi anni di tentativi in invernale al Nanga Parbat. Il film è appena stato ultimato, mancano solo gli ultimi 6 minuti di ripresa dalla vetta che spero di portare a casa quest’anno.

Pakistan: tu ci sei stato anche l’anno dell’attentato. Come vivi il rapporto con il Paese?
In Pakistan ho vissuto le mie più grandi avventure in montagna e tra le mie più belle esperienze di vita, è un rapporto speciale. L’inverno dell’anno dell’attentato al Nanga ho deciso di andare ugualmente ma non è stato facile ottenere i permessi. Volevo che passasse il messaggio che la paura e il terrorismo non deve fermare la volontà e le persone, neanche nell’alpinismo. Mi sono preso la mia responsabilità di ambasciatore dei Diritti Umani, ho corso il rischio e ho affrontato la paura, a quel tempo ero l’unico straniero al campo base. La mia scelta e il lavoro del mio gruppo che ha tenuto un dialogo diretto con il Gilgit Baltistan e il Ministero del Turismo hanno sbloccato la situazione poi anche alle altre spedizioni.

Sei ambasciatore dei Diritti Umani per i giovani. Secondo te l’alpinismo è sensibile ai diritti umani?
Negli anni ho imparato che gli alpinisti sono veramente molto incentrati su loro stessi, e quando va bene sulla loro squadra. Apprezzo molto le spedizioni che uniscono allo scopo alpinistico uno scopo umanitario, con progetti di solidarietà nei luoghi in cui si svolgono. Questo perché quelle montagne non sono a nostro uso e consumo, ma sono delle popolazioni che le abitano. E generalmente si trovano anche in zone veramente povere: l’attenzione a quelle popolazioni è il minimo che si possa fare, una questione di rispetto per altri esseri umani. Quando mi è stato proposto di essere ambasciatore nel mondo della campagna “Gioventù internazionale per i Diritti Umani” ho detto subito di sì. Poi è nata l’alta bandiera dei Diritti Umani. Ogni giorno è una battaglia, perché mi sono reso conto che far sì che i 30 Diritti umani scritti nella “Dichiarazione Universale” non restino solo sulla carta, ma siano anche applicati concretamente è difficile e richiede impegno. L’alpinismo può essere molto utile se riesce ad essere d’esempio. Ho sempre pensato che in montagna di bandiere non se ne dovrebbero portare, per lasciare le vette libere da qualsiasi ideologia, ma l’Alta Bandiera dei Diritti umani per me è troppo importante. Ho capito nel tempo che i Diritti Umani sono “le fondamenta su cui costruire tutto il resto”. Quando ho compreso fino in fondo questa frase mi sono illuminato, spero che accada anche ad altre persone e che decidano di sostenere la campagna.

intervista di Valentina d’Angella

www.danielenardi.org

Click Here: cheap bluetooth headset

Il punto di vista di Severino Seve Scassa, il climber che nel 1993 aveva introdotto il grado 8c+ in Italia con Noia ad Andonno, su Lapsus la nuova via liberata nella stessa falesia da Stefano Ghisolfi e per la quale è stato proposto il primo grado 9b italiano.

Abbiamo chiesto a Severino Scassa le sue impressioni a caldo su Lapsus, la via liberata lunedì pomeriggio ad Andonno da Stefano Ghisolfi per la quale il climber torinese ha proposto il grado da capogiro di 9b. Un grado che, se confermato, in Italia non si era mai visto prima e un grado che – è giusto ricordarlo – conta pochissimi paragoni al mondo. Perciò il parere di Scassa può servire a contestualizzare e valorizzare maggiormente questa performance che aggiunge un importante nuovo capitolo sia all’arrampicata sportiva italiana sia alla falesia di Andonno. Si, perché è proprio su questa spettacolare fascia di calcare a pochi chilometri da Cuneo che nel 1993 Scassa aveva infranto una nuova barriera dando vita a Noia, il primo 8c+ in Italia. Ed è proprio partendo da Noia che Ghisolfi ha concatenato le vie liberate da Marzio Nardi, Andrea Gallo e lo stesso Scassa, per creare questa specie di cavalcata di oltre 70 movimenti che attraversa importanti tappe della storia dell’arrampicata sportiva italiana.

Click Here: Discount Golf Appare


IL PASSAGGIO DI TESTIMONE AD ANDONNO
di Severino Scassa

Un bel passaggio di testimone, tra Noia, il primo 8c+ italiano e Lapsus, primo 9b d’Italia. Passaggio di testimone tra un astigiano ed un torinese. Entrambi nati in terra piemontese. Entrambi legati alle rocce, ai paesaggi, ai colori che hanno incorniciato la nostra storia verticale e insieme la storia dell’arrampicata sportiva italiana.

Con Lapsus Stefano Ghisolfi ha scritto un’altra pagina di questa storia, e l’ha scritta sulla stessa roccia, quella della falesia di Andonno nel cuneese, dove ventidue anni fa, il 14 febbraio del 1993, quasi inconsapevolmente, avevo realizzato il primo 8c+ d’Italia. Noia. Inconsapevolmente sì. Tanto che avevo proposto come grado 8c. Avevo impiegato infatti solo pochi tentativi per concatenare i passaggi chiave del traverso che congiunge Noi 8b+ a Cobra 8b. In quegli anni avevo chiuso, nella mia carriera, un solo 8c, Le Plafond, a Volx, nel 1992. Quel tiro me l’ero portato a casa in giornata, al quarto tentativo! Un itinerario esplosivo, dove il grado era determinato da una sequenza di pochi movimenti.

Noia era stata una vera e propria rivoluzione nell’universo dell’ottavo grado, perché monotiri di pura resistenza non ne esistevano. I riferimenti erano vie corte e di blocco, da Action Directe, 9a in Frankenjura di Wolfgang Güllich a Le Plafond, 8c di Ben Moon in Provenza, da Hubble, 8c+ di Ben Moon a Raven Tor in Inghilterra, a Agincourt, primo 8c francese, liberato a Buoux, sempre da Ben Moon, e su quelli ci misuravamo. Ma Noia, estenuante concatenazione di novanta movimenti, era un’altra storia per avambracci e cervello. E così è stato.

Il progetto di Stefano mi ha subito entusiasmato e non poteva esser altrimenti. Immaginare e concatenare linee tra loro vicine, senza bisogno di aggiungere un solo spit, è un arte. L’arte di leggere la roccia in tutte le sue sfumature, di leggere linee che nella loro progressione verticale tagliano orizzontalmente la parete. Così era nata Noia, così è nata Lapsus, un traverso spettacolare che dalla linea di Noia si collega ad Anaconda, 8c che avevo liberato nel marzo del 2007. Vedere Stefano realizzare, in un perfetto pomeriggio d’autunno, questa linea visionaria, è stato davvero bellissimo.

Sono orgoglioso che la mia Noia abbia ispirato un atleta come Stefano, che ha dedicato al suo progetto giorni, fatica e passione. Sono orgoglioso che la storia di Andonno abbia una nuova pietra miliare. Forse perché per me Andonno sarà sempre casa. Qui ho speso la mia passione verticale negli anni più intensi, su queste vie mi sono allenato, su questa roccia ho iniziato a chiodare e a guardare in alto.

Seve Scassa

02/11/2015 – Stefano Ghisolfi libera Lapsus ad Andonno, il primo 9b in Italia
Lunedì 2 novembre 2015 nella falesia di Andonno (CN) Stefano Ghisolfi ha liberato Lapsus, la prima via d’arrampicata sportiva gradata 9b in Italia.

A Margalef in Spagna Alexander Megos ha salito in velocità il 9a+ di Demencia Senil e a-vista la via d’arrampicata sportiva Victimes del Passat 8c+.

Alexander Megos lascia ancora una volta il suo segno in Spagna con la sua salita, soltanto al terzo tentativo, di Demencia Senil, quella difficile e dolorosa serie di buchi da 9a+ a Margalef salita per la prima volta da Chris Sharma nel febbraio 2009 e ripetuta da Iker Pou, Ramon Julian Puigblanque e Stefano Ghisolfi.

La rotpunkt di Megos al terzo tentativo è ancora più notevole se si considera il fatto che il primo tentativo risale a due anni fa – soltanto fino al 3° spit perché la via gli sembrava troppo difficile – mentre i restanti 2 tentativi sono stati effettuati in giornata ieri.

Sempre nella stessa falesia catalana Megos ha anche salito a-vista il suo primo 8c+ , Victimes del Passat. Quindi a due anni e mezzo dal primo 9a a-vista mondiale, Estado Critico a Siurana – che l’ha visto saltare del tutto i gradi 8c e 8c+ – Megos ha ora aggiunto anche questo grado di difficoltà alla sua lista di successi.

SCHEDA: Margalef, Spagna

Click Here: Arsenal FC Jerseys

Il Male di Vivere sul Monte Bianco di Presanella

August 18, 2019 | News | No Comments

Dal 2 al 3 giugno 2015 Paolo Baroldi, Francesco Salvaterra e Alessio Tait hanno aperto sulla parete est del Monte Bianco di Presanella la nuova via alpinistica Il Male di Vivere (300m , 45° M 7a+ (VIII+) R3). Una via difficile in ambiente severo aperta in stile classico che incrocia in più punti la via Gian e Gian, aperta nel 1977 da Urbano Dell’Eva e Ivan Bertinotti.

Una bella avventura ci ha portato a salire un itinerario molto interessante e impegnativo. La logistica per come affrontare una via nuova è sempre qualcosa di interessante e vario, per una via come questa si sarebbe potuto puntare ad una salita rapida e leggera, ma ci siamo chiesti “perché?” Sempre di più l’andare in montagna rispecchia la vita quotidiana, ossia si parte presto e si torna presto, di corsa, senza intoppi e con risultato garantito. Deve essere anche per questo motivo se le vie più gettonate sono quelle ben attrezzate, ben relazionate e conosciute da tutti: avventura preconfezionata e spendibile, “carne da selfie”. Per una volta abbiamo quindi deciso di prendercela con calma, di passare delle ore sulla montagna fermi, senza fare nulla. E’ stata una bella esperienza…

Sono le sette e mezza di sera e siamo ancora in un punto non precisato della parete ad almeno ottanta difficili metri dalla cengia nevosa dove pensavamo di passare la notte. Io e Paolo ci stiamo ghiacciando i piedi in sosta mentre Alessio sta finendo un lungo tiro di corda che per il tempo che gli è costato dev’essere molto difficile. Abbiamo finito il repertorio di barzellette, mentre con le scarpette stallonate gioco con la fanghiglia di neve acquosa e terra che ci si è formata sotto ai piedi penso al perché non ho dedicato queste giornate ad entrare nelle grazie di una ragazza che mi piace molto, invece di venire qua a fare queste cazzate. Giungo alla conclusione che probabilmente è stato perché la montagna “mi vuole bene” quasi sempre, al contrario di qualcun altra.

Dopo un tratto di stop dove sentivamo risuonare delle martellate dall’alto, la corda torna a scorrere a singhiozzo e dopo un’altro po’ Alessio ci dà il via, possiamo salire. Il tiro è veramente difficile, uno strapiombo boulder per iniziare, segue poi un camino sfuggente e dopo una bella fessura il bastone finale: un diedro svasato e cieco dove Alessio ha fato un vero numero; dieci metri sul 7a con un solo friend nel mezzo. Gli faccio i complimenti mentre mi prendo il materiale e guardo attorno nella speranza di trovare un terrazzo.

Niente da fare, già ci vedo seduti su qualche scaglia di granito uno distante dall’altro a passare una notte pessima, invece… sulla sinistra e sotto di me trovo un pilastro di poco staccato dalla parete che sembra abbastanza pianeggiante e grande. Lo raggiungiamo, buttata giù la neve che lo ingombra per metà scopriamo un posto perfetto: tre metri per uno e mezzo di granito incrinato a 120° verso il basso. In breve fissiamo una “linea vita” con un paio di chiodi e ci infiliamo nei sacchi a pelo.

Abbiamo tenuto a portata un po’ di neve e ci cuciniamo dell’ottimo purè liofilizzato, Paolo mi fa notare che contiene circa un decimo delle calorie che ci servirebbero e io ribatto che gli fa bene un po’ di dieta, inoltre non sa che come sorpresa ci sono tre scatolette di tonno e perfino il dolce; fichi secchi. Tutto sommato siamo dei pascià: pancia piena, relativa comodità, non fa freddo e il tramonto ci regala una vista veramente stupenda sul Monte Nero e le Dolomiti di Brenta in secondo piano.

Passiamo la notte con le gambe a penzoloni e l’imbrago che da dentro il sacco a pelo ci impedisce di scivolare, ci svegliamo qualche volta ma pensavo peggio, fa quasi caldo. L’alba è stata il regalo migliore; la nostra parete è esposta perfettamente ad est e ci troviamo a circa 3200 metri sulla montagna più alta del Trentino. Oggi siamo i primi a veder nascere un nuovo giorno in diretta e dagli spalti più vicini al palco.

di Francesco Salvaterra

Grazie a:Ferrino,Zamberlan,Climbing Technology,Lizard

SCHEDA: Il Male di Vivere, Monte Bianco di Presanella

SCHEDA: Gian e Gian, Monte Bianco di Presanella


13/11/2014 – Nuove vie di ghiaccio e misto sul Monte Nero e Monte Bianco di Presanella
Il 12/10/2014 Paolo Baroldi, Jacopo Pellizzari e Francesco Salvaterra hanno aperto Couloir Martina sul Monte Bianco di Presanella, una via di ghiaccio e misto dedicata a Martina Pallaoro, la giovana alpinista deceduta sulla Presanella lo stesso giorno. Sempre nel gruppo Adamello – Presanella, il 29/10/2014 Pellizzari e Salvaterra hanno aperto Diretta Solitudine sul Monte Nero. Il report delle due vie, e la relazione della classica via Couloir H sulla parete NE del Monte Nero.

Click Here: Liverpool Mens Jersey

Il 17enne climber Stefano Carnati di Erba (CO) ha salito la sua prima via d’arrampicata sportiva gradata 9a, Coup de Grace in Val Bavona, Svizzera.

Stefano Carnati evidentemente ha un debole per la Svizzera. Anzi, forse sarebbe meglio dire che in Svizzera diventa ancora più forte. È nella confederazione elvetica infatti che, nel febbraio del 2014, l’allora 15enne climber aveva salito il suo primo 8c+, Deus irae al Cubo a Claro, ed è sempre nel canton Ticino che adesso il 17enne di Erba ha salito il suo primo 9a, Coup de Grace.

La via in questione sale l’impressionate prua strapiombante di un enorme masso di granito che svetta vicino al vecchio borgo di Sonlerto in Val Bavona. Alta circa 20m e liberata nel 2005 dallo statunitense Dave Graham e ripetuta nel 2011 da Gabriele Moroni, Coup de Grace è caratterizzata da un difficile boulder iniziale – probabilmente attorno a 8A boulder – che Carnati aveva tentato circa un anno fa. In quel momento il rebus dei movimenti sembrava impossibile ma qualche settimana fa è riuscito ad individuare le sequenze. Poi venerdì 13 novembre, complici le perfette condizioni autunnali, Carnati è riuscito ad effettuare la terza salita di questa via. E, a dimostrazione che anche in Italia si tiene, un paio di giorni più tardi la punta di diamante della squadra giovanile dei Ragni di Lecco ha ripetuto anche l’8c+ di Charlie and the Cats nella falesia di Cimbergo in Valcamonica.

04/02/2014 – Stefano Carnati, intervista dopo la salita di Deus irae 8c+

Click Here: Liverpool Mens Jersey