Month: August 2019

Home / Month: August 2019

Il 13/02/2014 Alex Luger ha liberato Psychogramm, un 8b+ trad sulla Bürser Platte in Austria.

L’avevamo promesso subito dopo il report dell’apertura a febbraio, ecco finalmente maggiori informazioni della prima salita di Psychogramm, la via liberata da Alex Luger sulla Bürser Platte nel Vorarlberg in Austria. Si tratta di una linea trad posta subito a sinistra della famosa Prinzip Hoffnung di Beat Kammerlander, salita originariamente in artificiale da Wolfgang Muxel, gradata A3 e provata per la prima volta da Luger 4 anni fa. All’epoca l’austriaco era riuscito a salire la sequenza chiave soltanto una volta su 10 e quindi aveva deciso di aspettare, fino a questo inverno quando, dopo averla provata con la corda dall’alto 5 volte senza cadere, ha deciso di partire dal basso. Il passaggio chiave si trova in alto, poco prima di arrivare in sosta e 5 metri sopra l’ultima protezione: un piccolo micro nut piazzato durante la libera e che fortunatamente ha tenuto i voli, come si legge nel suo report. “Altrimenti” ha spiegato Luger “se quel nut non tenesse, tutto diventerebbe davvero pericoloso.”

PSYCHOGRAMM di Alex Luger
Click Here: Golf Equipment Online

Un progetto che, inizialmente, non era un progetto perché la linea mi sembrava poco fattibile da salire clean. Da una parte c’era la sezione boulder che riuscivo a salire soltanto una volta su dieci, dall’altra la protezione troppa incerta.

Ma alla fine era proprio questo che mi attraeva. Sarei riuscito a fare i movimenti in maniera controllata? Le protezioni, sono sufficienti per un ragionevole tentativo dal basso?

Non riesco a controllare tutto, ho scoperto tutta la linea, interiorizzate i movimenti e le protezioni, dai, sono come sono, come la natura ce le ha date.

La voglia di tentare è enorme. Sono pronto. Parto. Tensione, concentrazione, respirazione, protezione, controllo, scalo, cado, penzolo nella corda, il micronut ha tenuto.

Dopo altri tre tentativi riesco a salire Psychogramm clean, un’altro highlight personale.

Il 31/07/2013 Maurizio Bergamo e Ferruccio Svaluto Moreolo del Gruppo Ragni di Pieve di Cadore hanno aperto Spigolo Anja (VII, 200m), una nuova via d’arrampicata sul Bastione del Mondeval, Lastoni di Formin, Dolomiti. Il report di Maurizio Bergamo.

Finalmente una via con Ferruccio, e in più una via nuova! Ci conosciamo da 20 anni, siamo nella stessa squadra di Soccorso Alpino (Centro Cadore) e apparteniamo entrambe al Gruppo Ragni, eppure per una serie di circostanze non ci era ancora capitato di scalare insieme in montagna.

Provo un grande senso di ammirazione per Ferruccio, guida alpina, alpinista con un grande curriculum (centinaia di vie nuove in Dolomiti, grandi invernali e spedizioni extraeuropee) ora anche talentuoso scultore, ma soprattutto persona umile e schiva, non per questo meno simpatico e intelligente nel divulgare le sue avventure alpinistiche.

L’occasione per arrampicare insieme viene durante una serata al soccorso alpino, quando “Ferro” mi invita ad aiutarlo nell’apertura di una nuova via sui Lastoi de Formin, un gruppo dolomitico posto in Comune di San Vito di Cadore ma afferente alla conca ampezzana trovandosi nella zona tra il Pelmo e Passo Giau. Mi parla di una cima, subito dopo la Punta dei Lastoi, solcata dalla base alla vetta da una fessura: una linea classica che spera non sia stata salita da nessuno. Altre volte gli è capitato di provare una salita nuova, ma di scoprire salendo che qualcuno aveva già percorso la via. In quella zona infatti dopo l’apertura delle varie linee classiche gli alpinisti, soprattutto Mario Dibona, si sono concentrati sull’apertura di itinerari sulle placche con l’uso di spit che sono diventati molto famosi (Love my dogs solo per fare un nome).

Accetto di buon grado l’invito di Ferro sono sicuro che nonostante siano 24 anni che scalo avrò ancora da imparare qualcosa vedendolo in azione. Fissiamo la salita per mercoledì 31 luglio, con ritrovo alle sette a casa sua a Pieve di Cadore. Io porto le mezze corde, martello, chiodi e il materiale personale, lui metterà il resto (friends, nuts). La mattina scendo da Pozzale prendo Ferro e via direzione Passo Giau. Un caffè al Rifugio, un’oretta di cammino e siamo alla base della parete. La giornata è splendida come tante in questa bella estate del 2013.

Ci guardiamo un attimo: “chi parte?”. Penso per un minuto di iniziare io per poi cedergli il passo sopra, dove sembra più duro, ma alla fine lo lascio partire, anche perché Ferro si è già messo addosso il materiale mentre io riflettevo sul da farsi. Il primo tiro fila via liscio su roccia grigia, prima per fessura e poi placche fino alla sosta su una piccola cengia dove intercettiamo la fessura che solca l’intera parete. Raggiungo il mio compagno e penso che sì, questo tiro potevo farlo anch’io ma ormai è tardi e comunque poco conta. Guardiamo su e il secondo tiro è più impegnativo e ora non c’è nessun dubbio, parte Ferro. Lo guardo salire sempre calmo, solo dei rarissimi “occhio” per tenere alta l’attenzione: protegge bene e velocemente beccando sempre il friend più appropriato al primo colpo; scala proprio bene, con grandi spaccate e posizioni rannicchiate. Altra sosta per Ferro: scalando bene, nonostante lo zaino, lo raggiungo, percorrendo un bel tiro che passa a destra di un tetto e continua in fessura. Ferruccio riparte, sempre con la direttrice della fessura, che in partenza richiede dei movimenti eleganti per salire. Il tempo passa velocemente, come sempre quando si scala; su questo tiro però sento, stranamente, Ferruccio che impreca perché fatica a piantare i chiodi di sosta. Riparto e raggiungo l’amico dopo un altro bel tiro con una uscita delicata. Ancora un tiro corto e dovremmo essere all’ultimo. Qui la geologia delle Dolomiti ci ha riservato un passaggio duretto, uno strapiombo. Ferro parte, protegge bene come sempre, lotta con lo strapiombo e i friends e poi esce per una bel diedro che verso destra conduce alla cima. Scalo anche questo tiro e il passaggio è effettivamente un po’ impegnativo, poi percorro il bel diedro ed esco in vetta. Grande soddisfazione per la via nuova, stringo la mano al mio forte compagno e gli faccio i complimenti.

Gli chiedo dell’ultimo passaggio della via e se ha fatto fatica, mi risponde “sì un po’ faticoso perché mi dispiaceva fare resting proprio alla fine”. Prima di oggi, pensavo stupidamente che solo 200m di via non fossero interessanti. Ma fatta così in stile puro ed etico le cose cambiano e io sono contento di avere cambiato idea. Scendendo gli faccio una domanda alla quale spero mi risponda “no!” avendo aperto tante vie: “hai in mente un nome da dare alla via di oggi?” La risposta è quella che desideravo e rivela ancora una volta lo spessore della persona. Gli propongo di dedicare la via alla mia amata moglie Anna. Ferruccio accoglie la proposta e nasce così un nome un po’ classico ma adatto al tipo di via che abbiamo aperto: Spigolo Anja.

Grazie ancora Ferro per la splendida giornata assieme e per tutte le qualità che mi hai trasmesso. Nella vita non si finisce mai di imparare.

Maurizio Bergamo, Gruppo Ragni Pieve di Cadore CNSAS Centro Cadore il 31/07/2013

SCHEDA: Spigolo Anja, Lastoni di Formin, Dolomiti

Click Here: cheap shoe stores

L’estate dei corsi guida

August 21, 2019 | News | No Comments

Il report di Carlo Gabasio, Direttore dei corsi per Aspiranti Guida Alpina e Guida Alpina del Polo Interregionale, e il ricco programma dei corsi guida dell’estate 2013.

Da giugno a settembre un continuo susseguirsi di moduli di formazione per gli aspiranti e di esami per le guide hanno caratterizzato la “calda estate dei corsi guida”.

Mi ritrovo ad Alleghe per l’esame roccia con i vecchi allievi, vecchi per modo di dire, per due anni si sono impegnati in questa nuova professione di aspirante guida ed è venuto il momento degli ultimi esami per ottenere il diploma di Guida Alpina. Tra una stretta di mano ed una pacca sulle spalle, pian piano ricordo i loro nomi e riconosco i loro visi dai quali traspare la soddisfazione per essere giunti quasi al traguardo ed un po’ di timore, perché pur sempre di esame si tratta.

Dopo l’appello e la presentazione ufficiale del modulo, quattro chiacchiere tra istruttori ed aspiranti, ci fa piacere sentire che in questi due anni tutti hanno lavorato, sia gli “orientali” quanto gli “occidentali”, un bella soddisfazione. Poi tutti in branda, da domani la sveglia suonerà molto presto!

Sei giorni di salite per valutare tecnica, sicurezza e professionalità. Si alternano vie più impegnative per la tecnica a vie più facili ma, con itinerari più difficili da individuare. Una giornata di test autosoccorso e didattica ed una di aggiornamento sul “trad”.

Freneticamente si susseguono sveglie tra le 4,30 e le 5, colazioni veloci, trasferimenti in auto nelle zone prescelte, avvicinamento alle pareti, salita, rientro, cena, consegna del programma del giorno successivo, fotocopie delle relazioni, riassetto del materiale e dello zaino, regolazione della nuova sveglia, qualche ora di sonno, sveglia…

A settembre con il modulo di alta montagna di Chamonix, dopo altrettante sveglie antelucane, la famiglia delle guide alpine si è così arricchita di 22 nuovi elementi. Ancora lunga é invece la strada per gli allievi del nuovo corso aspiranti, ma a piccoli passi siamo andati avanti: a giugno il modulo di insegnamenti generali 1 ad Arnad, ospiti e viziati dalla gentilissima gestrice Rita. Nel bellissimo Forte di Machaby si sono svolte le lezioni di: geologia, storia dell’alpinismo, primo soccorso e BLS, aspetti fiscali, topografia e orientamento. Durissime le 8 ore seduti in aula ma le falesie della zona sono state un ottimo sfogo per le serate post lezioni.

A luglio, da Machaby al Briançonnais per la formazione di Alta Montagna, quel famoso “terreno facile” che di facile non ha proprio nulla. Come in tutti i cicli formativi, la progressione in conserva é quella che procura sempre grattacapi, sia a chi deve impararla sia a chi deve insegnarla.

Le tantissime varianti di terreno e situazioni impongono un continuo adattamento ed interpretazioni di tecniche e di scelte, ed é inoltre il terreno dove solitamente gli allievi hanno meno esperienza.

Una piccola pausa ad agosto e si riparte con destinazione Dolomiti per il modulo roccia, campo base consolidato ad Alleghe, logisticamente adatto per raggiungere abbastanza velocemente tutti i gruppi dolomitici. Previsioni meteo da paura ad inizio modulo – realtà meno drastica durante il periodo – ci hanno permesso di rispettare i programmi senza perdere nessuna giornata.

La lunga, quanto veloce estate é finita ma i corsi non ancora. A novembre ci sarà il secondo modulo di insegnamenti generali, a gennaio cascate e poi sci alpinismo e poi e poi…

Click Here: West Coast Eagles Guernsey

Carlo Gabasio
Direttore dei corsi Polo Interregionale

CORSO GUIDE ALPINE
25/05/2013 – Corso aspiranti guida alpina 2013 – 2014: il modulo tecniche e manovre di sicurezza e autosoccorso
08/04/2013 – Al via in Dolomiti il nuovo corso aspiranti guida alpina 2013 – 2014 del Polo Interregionale
21/12/2012 – Aspirante Guida Alpina, aperte le iscrizioni per il 2013/14

The curse of Space Station 13

August 21, 2019 | News | No Comments

It looks like a game from a bygone era. The 2D graphics are basic in the extreme. There are no animations to speak of. The viewpoint is top-down and staying that way. Its user interface rekindles memories of Windows 95. It is fiddly, abstruse and hugely complex. It is a slow burn of a video game, often demanding hours of intense concentration, planning and execution to succeed. And yet for some, Space Station 13, a community-created open source project coming up on its 15th birthday, is the greatest multiplayer role-playing video game ever made.

It is also hugely popular among video game developers, some of whom say the emergent gameplay Space Station 13 enables is the most interesting they’ve ever experienced. Perhaps that’s why so many have tried to remake it over the years. But so far none have succeeded. This repeated failure to remake Space Station 13 has led to what’s known among the game’s community and developers as a curse. Some believe Space Station 13 cannot be remade. And yet, the attempts keep on coming.

To understand the Space Station 13 curse, you have to understand Space Station 13 itself. The problem is, Space Station 13 is really hard to understand, and so it’s really hard to describe. It’s perhaps best to start with the setup. Players choose from a selection of different jobs available on the crew of a futuristic space station called Space Station 13 (so named, its creator revealed in an interview, because bad things happen with the number 13 ). The players then play out the round, interacting with each other and the environment around them. There isn’t much in the way of a grand goal or objective for the crew to put their minds to. It’s more of a, well, let’s see what happens kind of game.

What sets Space Station 13 apart is the coming together of a huge number of systems and mechanics. The engine the game is built upon, the “super old and super crappy” BYOND engine, as it has been called, lets players interact with pretty much any object or being on the station, and you’ll get different results depending on the context. Here’s a simple example: use a crowbar on another player and you’ll attack them. Use it on a floorboard and you’ll pry it up.

Adding to the complexity are four states of “intent”: help, disarm, grab and harm. Each affects the interaction. For example, use an empty hand on another player with the help intent enabled and you’ll hug them. Use an empty hand on another player with the harm intent, however, and you’ll punch them.

Behind the basic graphics is an engine that simulates everything from station power to atmosphere, chemistry to biology. Research and development stations require resources and the patience to click through endless menus. There are multiple departments on the station, including Command, Security, Engineering and Medical. If you’re working in Security, you need to enforce the law and respond to emergencies. If you’re in Medical, you need to keep the crew healthy, research diseases and even create clones for dead players.

The spanner in the works is the player chosen by the game to act as the antagonist. Usually the antagonists have secret objectives. Kill everyone, perhaps. Escape. Sabotage. Steal. That sort of thing. This means most rounds end up in some sort of chaos. The station may even end up destroyed. But that chaos, that drama, is all part of the fun.

In the below video – one of the best let’s plays of Space Station 13 I’ve seen – YouTuber ShitoRyu95 assumes the role of the station chaplain and is designated the traitor. He has two objectives: steal a chief medical officer’s jumpsuit, and hijack the emergency shuttle by escaping alone. None of the other 14 role-players aboard know this. The chaplain must somehow go about his business, avoiding suspicion while setting up his masterplan via dastardly misdirection and intimate knowledge of Space Station 13’s inner workings. It’s a fantastic watch, and gets to the heart of how Space Station 13 is in essence a big simulated sandbox with complex rules – and where the gameplay emerges from the rules.

So, Space Station 13 is awesome in a very unique way, which is probably why so many developers have tried to remake it with more modern graphics and design sensibilities. There are 14 attempts listed in this article on Medium. None have come out. Most were unceremoniously cancelled. Some soldier on in development hell. Why? It is the curse of Space Station 13, developers whisper.

The most famous developer to try and fail to remake Space Station 13 is Dean Hall. Hall, known for creating the hugely popular multiplayer zombie survival game DayZ, tells me he’s burnt though millions of dollars (he won’t say exactly how many) trying to recreate Space Station 13. Ion, which was announced to much fanfare on-stage during Microsoft’s E3 2015 press conference, was eventually cancelled, the most high-profile victim of the curse.

“What is the crux of the Space Station 13 curse? I say it is what I describe as mean time to feature,” Hall tells me.

By mean time to feature, Hall means the average length of time it takes to implement a new feature.

“If we look at Ion, that was quite a long time, sometimes weeks,” Hall continues. “If you look at DayZ or a triple-A game, you have to make really detailed art assets, you have to animate it, sometimes you have to do motion capture then you have to clean up the animations. You need to texture it. You need to get the materials right. Then you need to have the programmers do all the synchronisation. This can be weeks. This can be five weeks of work to get a new feature in the game.”

The problem with remaking Space Station 13 is that it’s got so much stuff going on in it that developers have so far struggled to recreate the complete package in a modern engine with anything approaching an efficient or economically viable timeframe. This was in part what led to Ion’s costly cancellation.

“It’s just money, right?” Hall quips. “Look, it’s pretty rough.

“A lot of the remake attempts that have been made, they try and tackle the problem all at once. They tried take the bite all at once. You want to make all the systems good, right? This is what we tried to do with Ion. But it’s just too much work. It takes too long. And length of time is sapping your motivation, and it’s expensive. That’s ultimately what kills stuff.”

The origin of the Space Station 13 curse is difficult to pin down, but it looks like it owes much to multiple failed attempts to remake the game by someone who actually worked on Space Station 13 years ago. Aaron Challis, from Swindon, says the curse began after he tried and failed to remake Space Station 13 in 3D around 2012. This after he had leaked the source code to the game so others might try the same.

“I realised Space Station 13 had reached a point where it couldn’t go further with the people involved with it,” he tells me over Skype.

“At the time, I wasn’t experienced enough to bring it to where it deserved to be at. And I didn’t believe the other guys who were working with me could do that either. At that point I was just like, this is going to be better off if everyone else gets the chance. To be honest, doing that made Space Station 13 so popular today.”

One of Challis’ early attempts was simply called Space Station 13 3D, so on the nose was his plan to remake the game. He gave up on that quickly.

“I went to university, learnt some things, came back out and was like, okay, let’s do this thing,” he says. “After that it became Centration.”

Centration was perhaps the most high-profile Space Station 13 remake attempt of the time. It aimed to recreate Space Station 13 in an ultra realistic setting and from a first-person perspective. The initial plan even included a construction system than involved players putting girders into place and slapping panels over them, and a medical system Challis describes as “a simplified version of Surgeon Simulator”.

Challis and his team launched crowdfunding attempts to raise development cash on IndieGoGo (twice) and Kickstarter. All failed.

“A lot of people were really upset about that,” Challis admits. “A bunch of other people tried to do their own little remakes. Then the Space Station 13 2D remake that was being made by the original guys who took over the code failed as well.”

And thus, the curse of Space Station 13 was born. Now, whenever a Space Station 13-style game is announced, fans roll their eyes. When a Space Station 13-style game is cancelled, fans say, well, of course. “It [the curse] probably would be something to do with me!” Challis laughs.

Primulous was an ambitious Space Station 13-style game led by Joshua Salazar, of Flint, Michigan. After getting into Space Station 13 in early 2012, and with more advanced game development under his belt, he thought he’d have a crack at it. Tinkering in Unity, and enlisting the help of a programmer, Salazar started a company, created a website, hired an artist and got some marketing off the ground.

“I knew it [the curse] was there when I first started getting into this project, I just didn’t care to be honest,” Salazar tells me.

“We all know it’s always there. Just the continuing failure of these projects is just reinforcing this curse over and over again. Now you see stuff on Space Station 13 forums all of the time and people are just like, here we go again. That’s attributed to the curse. There’s no positive attitude even with the start of these projects. People have such low expectations from the start.”

Click Here: gws giants guernsey 2019

About a year into the development of Primulous, funds began to run out, Salazar says. A Kickstarter launched in April 2014 with a working prototype honed by a handful of closed alpha tests. Salazar was particularly excited about Primulous’ atmospheric system. “I can say with confidence we had a really good atmospheric system that was light CPU usage,” he says, “it was a robust system. That was a big part of Primulous that would have been fun.”

The Primulous Kickstarter failed and the project ended. The curse strikes again?

“Our marketing wasn’t the best,” Salazar, now an application developer for a local university, explains. “We had three people working on the game full-time and we were all taking on a lot of different tasks. We were doing everything at the same time. We didn’t excel at any one specific area. We just didn’t have the time to dedicate to making one specific thing awesome. That really is our fault – more so my fault. This was all on me.

“We didn’t quite have a market. Space Station 13 is a very niche market. Primulous was following the same genre, and people didn’t quite understand it. It was just a small market.”

Of course, there isn’t really a Space Station 13 curse, rather a combination of factors that make remaking the game incredibly difficult. It doesn’t help that so many attempts have so far come from inexperienced developers, but even DayZ maker Dean Hall, with all his millions, tried and failed. Disheartened, some have declared Space Station 13 the impossible to remake video game. There’s just too much to it, too much going on, to recreate in 3D.

The attempts to straight-up remake Space Station 13 remakes seem to have dried up. But that hasn’t stopped people from making games inspired by Space Station 13. Barotrauma, from Finnish developer Joonas “Regalis” Rikkonen, is one of those games. And this one looks like it may actually come out. Could it be the game to finally break the curse?

“Barotrauma is heavily inspired by Space Station 13 so I guess I’m in a way trying to break the curse,” Rikkonen says.

Rikkonen, whose last game was minor cult hit horror game SCP – Containment Breach, says he’s using the concept of Space Station 13 as the basis of Barotrauma to make a more user-friendly and fast-paced version of the game. “I guess it could be called a casualised version of Space Space 13,” he says.

“I won’t even be trying to reach the complexity of Space Station 13. So, a solid, simpler version that takes the best parts of Space Station 13 without trying to become an enormously complex simulation as deep as Space Station 13.”

Like Joonas Rikkonen, Dean Hall also reckons he’s broken the Space Station 13 curse, this time with upcoming game Stationeers. And like Rikkonen, Hall’s not trying to remake Space Station 13, as he did with Ion. Instead, he’s simply using it as inspiration.

“It’s important to acknowledge we are not making a Space Station 13 remake,” Hall stresses. “I do think a remake will be possible through modding, but I’m personally not that interested in the round base nature of Space Station 13. I’m interested in seeing what Space Station 13 looks like when you give it persistence.

“The problem is, when I play Space Station 13 I’m left going away wishing the effort I put in didn’t disappear. So when I play a round, I want my character to carry on. I hate that character disappears. That character had experiences and activities and behaviours, and I want to see how that affects people’s decisions as they go on.”

For Hall, who says he’s been trying to “knock this issue out for six years of my life”, the light is at the end of the tunnel. Stationeers, “which is like my third or fourth attempt”, goes into Early Access on 13th December 2017, curse permitting of course.

Is Space Station 13 the impossible remake? All the developers I spoke to for this article remain convinced it is possible, just rock hard and pretty unlikely.

“I’ve always said if you wanted to make a brute force remake of Space Station 13, the top down version we all love, and take that into 3D, I think that’s highly possible,” Challis says. “I think it can be done, especially with money and a team. I guess it’s just a lack of interest that’s prevented that from happening.”

This lack of interest taps into the inaccessibility of Space Station 13. It’s something all games based upon – and even inspired by – Space Station 13 suffer from, like a hereditary disease.

“I tried to get a few people playing Space Station 13, and getting them to even install the software in the first place was a pain,” Challis laments.

“When they finally got in there, they were like, ‘I have no idea what I’m doing.’ By that point I’m already running around on the other side of the station doing some other things, so I can’t really help them. It’s that kind of game. You have to know how to play the game to play the game.”

Hall says Stationeers suffers from this issue, too.

“Stationeers is a hard sell,” Hall says. “That’s something Space Station 13 suffers from. How do you tell someone what it is? The only way you can tell someone what Space Station 13 is, is by telling them everything they can do. I have been playing Space Station 13 for years, weekly, and I still have not done everything there is to do in that game. I’ve never worked in research and development.”

What would it take to break the curse? Games such as Barotrauma and Stationeers, which look like they will in fact come out, are not Space Station 13 remakes, and so the curse, while dented by their success, remains undefeated.

But Space Station 13, warts and all, still causes developers to dare to dream about what a proper remake could look like. “There’s a certain draw to it,” Salazar says.

“There’s just so much to draw inspiration from, whether you’re interested in atmospherics or medicine or security or whatever, there’s something there to draw you in.”

Salazar has given up on his dream of remaking Space Station 13 (“I’m going to let someone else carry that torch”), but he eloquently explains why developers continue to want to try:

“The depth appealed to me. Personally I like learning. I like trying stuff out. The unknown is something I like to try and overcome. That along with how much was happening and all of the cool stories that were coming out of every round, that feedback loop was what kept me going. Over time I just learned it. Even today I fumble over the controls. I struggle to lock a locker.

“It’s definitely an inaccessible game with a very, very steep learning curve. But that’s also what draws us to want to remake this. We know there are better platforms out there and we can make it more accessible and we can help people get over that learning curve with tutorials and better visuals and things like that.”

Perhaps that’s why Challis remains determined to see Centration through to the bitter end.

“Overall, the entire dev cycle so far has cost in excess of about £20,000,” he admits. “I’ve been trying to make Centration a thing since 2006. I’ll spend my life doing it if I have to. I don’t mind.”

Fans hope one day someone somewhere will succeed and break the curse of Space Station 13. Until then, well, you can always play the original. If you dare.

Nuove vie invernali in Scozia

August 21, 2019 | News | No Comments

L’11 gennaio a Creag an Dubh Loch in Scozia sono state aperte quattro nuove vie da Nick Bullock, Greg Boswell, Callum Johnson, Uisdean Hawthorn, Simon Richardson, Guy Robertson, Will Sim e Iain Small.

Cosa succede quando una gruppetto dei massimi esponenti dell’alpinismo invernale britannico decide di arrampicare assieme sulla stessa lontana, inospitale parete che in 30 anni aveva visto la creazione di sole quattro vie, e che proprio in quei giorni godeva di condizioni del tutto particolari? Il delirio. O meglio e più precisamente, improvvisamente quella parete si trova ad ospitare non più quattro, ma otto vie difficili.

Il tutto è successo l’11 gennaio scorso quando Nick Bullock, Greg Boswell, Callum Johnson, Uisdean Hawthorn, Simon Richardson, Guy Robertson, Will Sim e Iain Small si sono dati appuntamento alla Terrace Wall a Creag an Dubh Loch, indubbiamente la parete più imponente dei Cairngorms per cogliere queste condizioni “super”. Come ci ha confermato anche Richardson “sì, il meteo di dicembre ha fatto sì che Creag an Dubh Loch erano in condizioni come si vedono una volta nella vita. Venti freddi da sud avevano riportato neve da dietro la montagna, seguito poi da una serie di geli e disgeli. Nessuno di noi aveva mai visto così tanto ghiaccio in questa parete!”

Le quattro vie aperte dal gruppo si chiamano Take te Thron (VII,6), Defence of the Realm, The Cure (VIII,8) e Hustle (VII,7) e vale la pena evidenziare che per arrivare alla parete ci vogliono tre ore ldi avvicinamento. Oppure solo due se la strada è abbastanza pulita da essere praticabile fino a metà con la bici…

Due giorni più tardi Bullock e Robertson hanno aperto Slenderhead un’altra interessante nuova via a Stob Coire Nan Lochan. Anche questa ha uno sviluppo di circa 100m. E anche questa – come The Cure – ha difficoltà complessiva di VIII/8, un grado che non molti anni fa era considerato il non-plus-ultra dell’arrampicata invernale scozzese e che ora comincia ad essere ripetuto, e aperto, sempre più spesso. Proprio per questo motivo, e per capire qualcosa di più sulla particolarità di queste nuove vie, abbiamo chiesto delucidazioni a Bullock.

“Per quanto riguarda il grado di VIII/8 salito sempre più frequentemente credo sia simile all’arrampicata su roccia: le barriere vengono infrante, poi la gente segue grazie ad una conoscenza migliore, un allenamento più specifico e anche grazie all’attrezzatura migliore. In realtà non credo siano in moltissimi quelli che salgono l’ VIII/8 regolarmente, ma il grado potrebbe rappresentare il livello di quello che un arrampicatore allenato e motivato riesce a fare adesso. L’apertura di una nuova via di questa difficoltà è una storia diversa, con nessuna conoscenza preventiva o descrizione, salire su terreno sconosciuto è una sfida mentale non indifferente. Diciamo che le difficoltà tecniche sono soltanto una parte della sfida.

Entrambe le mie vie sono state aperte a-vista, dal basso con nessuna conoscenza preventiva. Questo approccio “dal basso” fa parte di una lunga lista di complicati aspetti legati all’arrampicata invernale scozzese e credo che questo sia un aspetto importante visto che le nostre pareti sono così “basse”. Salire dal basso aggiunge un altro piano all’arrampicata e fa sì che una via corta sembri molto più lunga, aggiunge quindi un aspetto psicologico molto importante nell’apertura di nuove vie. Slenderhead è un bel esempio: c’è stato un momento sul primo tiro in cui mi sono trovato con ghiaccio brutto, altrettanto brutte protezione e non sapevo cosa mi aspettava sopra. Era una grossa sfida mentale, e se avessi buttato giù una corda dall’alto avrei sottratto moltissimo dell’esperienza. In qualche modo avrei abbassato la via ad un livello che molti sarebbero stati felici di provare. Questo suono elitario, ma l’arrampicata è di per sé un’attività elitaria che è resa memorabile unicamente dalle sfide che si presentano quando si applicano determinate regole. Potrebbe sembrare che ciò sia contrario a quello che l’arrampicata dovrebbe essere, ma lo stile è molto importante e se l’unica cosa che conta è raggiungere il top di una via, in qualsiasi maniera, allora potremmo raggiungere la cima di tutte le montagne della Gran Bretagna a piedi.”


Creag an Dubh Loch

Le nuove vie da sinistra a destra
Take te Thron (VII,6) – Uisdean Hawthorn e Callum Johnson
Defence of the Realm (VII,7) – Guy Robertson e Greg Boswell
The Cure (VIII,8) – Will Sim e Nick Bullock
Hustle (VII,7) – Iain Small e Simon Richardson

Click Here: Geelong Cats Guernsey

Intervista allo statunitense Alex Honnold che il 14 gennaio ha salito senza corda la via El Sendero Luminoso (7b+, 500m) sulla cima El Toro, Potrero Chico, Messico.

La notizia ha fatto il giro del web la settimana scorsa: il 14 gennaio lo statunitense Alex Honnold ha salito slegato El Sendero Luminoso, una via di 500m sul pilastro centrale di El Toro a Potrero Chico in Messico. Aperta nel 1994 dagli statunitensi Jeff Jackson, Pete Peacock e Kurt Smith, la via offre difficoltà fino a 7b+ con un’arrampicata decisamente tecnica su piccole tacche di calcare. Honnold, dopo avere pulito e provato la via, l’ha salita senza corda in circa 3 ore. Indubbiamente una salita “importante”.
Honnold ci ha abituati a grandi solitarie – vengono in mente subito la Regular NW Route sull’ Half Dome, The Phoenix oppure più recentemente il Yosemite Triple – ma oltre alle difficoltà e l’altezza di El Sendero Luminoso, forse quello che colpisce è che la via non è su granito ma, appunto, su calcare. “Uno stile completamente diverso per me” ci ha spiegato Honnold che qui ci racconta com’è andata ma anche come spera di “fare qualcosa di utile, non solo salendo delle rocce….”

Alex, ci racconti come sei arrivato a questa solitaria.
El Sendero Luminoso è un po’ un’icona, è sicuramente la via da fare a Potrero. Sapevo della sua esistenza da molto tempo, visto che è conosciuta come via da fare se hai un certo livello. Fantasticavo da anni di salirla slegato, e l’anno scorso la volevo provare ma la linea era un po’ sporca e nessuno dei miei amici voleva salirla più di una volta per aiutarmi nella pulizia e nella preparazione. Quest’anno invece sono tornato con Cedar Wright, sapendo che ci avremmo lavorato e che l’avrei fatta.

Abbiamo letto che prima di salirla slegato, l’hai salita 4 volte in precedenza…?
La prima volta che l’ho salito era 5 o 6 anni fa, volevo semplicemente fare la via e arrivare in cima. Poi l’anno scorso ho considerato l’idea di farla slegato, e anche se mi sembrava fisicamente fattibile, come ho già detto la via semplicemente non era nelle condizioni giuste e quindi non mi sentivo al mio agio. Quest’anno l’abbiamo nuovamente ripetuta, ma l’abbiamo anche ripulita un po’ dallo sporco, togliendo anche i cactus. Si, quest’anno la volevo salire slegato, condizioni permettendo. Poi ho avuto la fortuna che il meteo sia stato dalla mia parte e tutto ha funzionato per il verso giusto.

Stiamo parlando di oltre 500 metri di via. Dov’è il passo chiave? E dove sono le maggior difficoltà psicologiche?
I passi chiavi per me erano sul 2° tiro, il 5° e l’11°. Il secondo tiro è sicuramente stato il crux psicologico, soltanto perché è in basso e non ero molto riscaldato e non ero ancora entrato nel ritmo giusto. Quando sono arrivato alle altre sezioni difficili mi sentivo molto bene e tutto mi sembrava facile. Il secondo tiro è boulderoso, attorno al 5.12c, l’arrampicata è super tecnica, con prese verticali ed appoggi strani.

La via veniva gradata 5.12d. Tanto per darci un’idea su quanto sei al limite o nella tua “zona comfort” – che grado riesci a salire con regolarità a-vista, e qual’è il tuo grado massimo?
Personalmente credo che la via sia probabilmente più vicina al 5.12b/c. Ma è davvero difficile dirlo con certezza, visto che non ti ghisi mai, è tutto sta sui piedi. Generalmente faccio 5.13a a-vista, e al massimo a-vista sono riuscito a fare fino a 5.13c, o giù di lì. E’ da tempo che non salgo più una via difficile lavorata, in passato sono riuscito a ripetere fino al 5.14c. Per dare un’idea, solitamente faccio un 5.12a o 5.12b come prima via del giorno come riscaldamento. Fondamentalmente, su El Sendero Luminoso mi sentivo abbastanza bene.

Ci sono momenti lungo la via dove è possibile fermarsi? Come l’enorme cengia su Half Dome per esempio?
C’è una grande cengia da bivacco che divide la via al quinto tiro (i primi 5 tiri sono tutti da 50m, quindi in realtà è a metà via). Mi sono tolto le scarpe per un minuto per rilassare le dita dei piedi. Ogni tanto mi fermavo su una buona presa per scuotere le braccia, ma per la gran parte ho tenuto un ritmo molto costante. C’è anche una fantastica palma che esce dalla roccia sulla quale ci si può sedere. Classica arrampicata messicana!

Sei stato molto veloce…
Ci ho messo un’ora per raggiungere la cengia a metà parete, un’altra ora per raggiungere la cima di Sendero (la via finisce proprio in cima alla torre) ed un’altra ora per salire in cima alla montagna dietro la torre che sia chiama El Toro. Quindi tre ore totali, 2 per la via.

Questa come la paragoni, se puoi, alle altre tue solitarie?
Direi che è certamente qualcosa di interessante e nuovo per me. E’ uno stile molto diverso, è abbastanza difficile tecnicamente, ed è davvero alta. Non ti ghisa, quindi si tratta di una prova per vedere quanto sei allenato. Per me era senz’altro una sfida nuova.

Anche perché, se non sbagliamo, la maggior parte delle tue solitarie sono sul granito.
Beh, ho fatto anche un sacco di solitarie sull’arenaria. Ma è giusto dire che la maggior parte delle mie salite da slegato sono su fessure. Questo è sicuramente uno stile completamente diverso per me. Ma richiede lo stesso tipo di uso raffinato dei piedi che serve su una placca di granito. Poi mi piace molto l’arrampicata su calcare, anche se non la faccio molto spesso, perché negli USA il calcare non è così buono.

Domanda completamente diversa. Sappiamo che da poco hai avviato una fondazione con il tuo nome. Ce ne puoi parlare?
Grazie per avermelo chiesto, sì, questo per me è un bel progetto “parallelo”. La cosa principale che mi ha spinto ad impegnarmi in questo senso è la sensazione che possiedo più di quanto avrei bisogno e che devo dare qualcosa in cambio. Faccio donazioni attraverso una fondazione di beneficenza (piuttosto che con assegni personali) nella speranza che questo possa ispirare altri a sostenere le cause in cui credono. In sostanza, la Honnold Foundation sostiene progetti ambientali che migliorino la qualità della vita – qualsiasi cosa che aiuta l’ambiente e può aiutare le persone ad uscire dalla povertà. Un buon esempio è Solar Aid, un’organizzazione no-profit che stiamo sostenendo e che aiuta la distribuzione di luci ad energia solare in tutta l’Africa. Questo riduce l’uso di lanterne a cherosene, il che è un bene sia per l’ambiente sia – soprattutto – per la salute di chi le usa. Diciamo che c’è molto lavoro da fare, ma fondamentalmente spero di fare qualcosa di utile, non solo salire delle rocce…


El Sendero Luminoso

El Toro, Potrero Chico, Messico
Prima salita: Jeff Jackson, Pete Peacock e Kurt Smith, 1994
Lunghezza: 500m circa
I tiri secondo
Alex Honnold:
5.11d, 5.12b/c,5.11c, 5.11b, 5.12a/b, 5.12a, 5.12a, 5.11c, 5.10c, 5.8, 5.11c, 15.2a/b, 5.11a, 5.10a, 5.7. Poi per salire in cima alla montagna altri due tiri di 5.9, seguite da circa 1km lungo la cresta.

Click Here: brisbane lions guernsey 2019

Partenza uggiosa con pioggerellina sulla seconda giornata del Melloblocco 2014, poi al pomeriggio spunta il sole. In ogni caso l’arrampicata è continuata. Intanto i melloblocchisti presenti in Valle sono oltre 1400 e il pienone si attende per sabato e domenica.

Cosa si fa se al Melloblocco piove? Intanto si coprono i blocchi (erano 4 + 1 quelli messi al riparo oggi). Quindi si arrampica, si pensa o si aspetta di arrampicare. In molti l’hanno fatto. Nel frattempo magari si fa yoga (sono due le sessioni del Mello quest’anno, al mattino e alla sera). Poi si parla, naturalmente di arrampicata, ma non solo. E poi c’è anche chi pensa, e sono in tanti, visto che ieri si è arrampicato da mane a sera, che un po’ di riposo per le dita, già provate dal “dolce” granito della Valle, è quello che ci vuole.

Tanto più che se stamattina domandavi in giro che tempo farà domani tutti ti dicono che si scalerà in ogni caso, e che in più farà anche bello. E a dire il vero il meteo per sabato e domenica è del tutto allineato a questa previsione. D’altra parte alle 16:00 è anche rispuntato il sole. Cosa si può chiedere di più?

Dunque, vai con il Mello! E poco importa questa pioggerellina che, fin quasi al pomeriggio, ha bagnato massi, pareti e prati. Insomma, i 1400 melloblocchisti presenti in Valle non si sono affatto fatti intimidire. D’altra parte i veterani ne hanno viste ben di peggio… Anche perché, tra domani e domenica, si attende il resto della truppa; d’altra parte il flusso non si è mai fermato e, ancora adesso, gli arrivi sono continui.

Intanto, sul fronte del boulder giocato (e coperto dai teloni di cui sopra), oggi si sono registrate altre perfomance. Come quelle di Federica Mingolla e Martina Blanchet che hanno chiuso 2 blocchi: “Jonny crash” e “Green woman”. Mentre Eva Scroccaro si è aggiudicata il top di Green woman. Sul fronte maschile, Marcello Bombardi ha fatto bis di top, su “Green man” e “Sogno di Nalle” seguito su quest’ultimo da Jacopo Lacher. Dal canto loro Andrea Ratti, Danilo Marchionne, Roberto Baratto, Edoardo Bocchio Vega hanno fatto centro su “Green man”.

La nuova classifica provvisoria dei 9 + 9 boulder a montepremi – che già ieri ha visto la russa Yulia Abramchuk vincitrice dello speciale viaggio premio a Bilbao messo in palio da Red Bull per chi riusciva a chiudere per primo 5 boulder a montepremi – è rimasta sostanzialmente invariata. Al comando provvisorio, grazie a 5 blocchi chiusi, troviamo Gabriele Moroni e Stefano Ghisolfi. Mentre la classifica femminile è capeggiata da Jenny Lavarda, Barbara Zangerl, Mélissa Le Nevé e, appunto, Yulia Abramchuk anche loro a quota 5 top.

Ma i giochi sono ancora aperti, anche perché continuano i nuovi arrivi di big in Valle. Tutti puntano al grande slam di 9 blocchi saliti su 9: una vera impresa. Specialmente in campo maschile visto che mancano all’appello dei top, 2 blocchi ritenuti “quasi impossibili”. Domani sicuramente ne sapremo di più. Intanto, per l’ora dell’aperitivo, il Mello offre una speciale degustazione dei grandi vini della Valtellina. Considerato il successo e il gradimento riscosso ieri, anche stasera pronostichiamo il pienone. D’altronde non si vive di solo boulder.

Click Here: Cardiff Blues Store

Sul fronte degli incontri serali e della festa in cartellone spiccano i nomi dello strong man dell’arrampicata Stevie Haston che presenta le novità Grivel. Quindi l’attesissimo incontro con Stefan Glowacz ed il suo “At the End of the World – on Baffin Island” presentato da Marmot . E, a seguire, Mayan Smith Gobat, Ben Rueck e Sachi Amma con “Climbing around the world – Some insights from the adidas climbing team about their projects” e ancora Change, con Adam Ondra, presentato da Montura. Poi, a chiudere il tutto, in pedana salirà il Dj Diego Ritz. E la festa dell’arrampicata, oltre l’arrampicata, continua…

MELLOBLOCCO 2014
02/05/2014 – Melloblocco 2014: flash 2
01/05/2014 – Melloblocco 2014: day one, un raggio di sole per tutti 
01/05/2014 – Melloblocco 2014: flash 1 
30/04/2014 – I boulder del Melloblocco 2014 by Simone Pedeferri
30/04/2014 – Quelli che il Melloblocco… inizia il viaggio 
24/04/2014 – Meno di una settimana al Melloblocco!
10/04/2014 – Simone Pedeferri – dietro le quinte del Melloblocco 2014 
03/04/2014 – Melloblocco 2014 – semplicemente arrampicata
16/01/2014 – Melloblocco – aperte le iscrizioni per il 2014!

Info e programma su www.melloblocco.it 

Si è conclusa in la prova Open Boulder maschile e femminile. Tra gli uomini si classificano per la finale di Domenica 31 Agosto: Kokoro FUJII (JPN), James KASSAY (AUS), Gregor VEZONIK (SLO), Makoto YAMAUCHI (JPN). Per le donne passano in finale Katja KADIC (SLO), Ekaterina ANDREEVA (RUS), Julija KRUDER (SLO), Sol SA (KOR).

È partita anche la competizione Boulder che ha visto in mattinata disputarsi la prova maschile. 60 atleti hanno affrontato sei blocchi in due ore e mezza di gara. Solo quattro posti disponibili per la finale di Domenica 31 agosto. Purtroppo nessuno degli italiani è riuscito a classificarsi, per Stefan Scarperi solo un ottavo posto. Per il Giappone buone notizie con due atleti in finale Kokoro Fujii e Makoto Yamauchi che insieme allo sloveno Gregor Vezonik ed all’australiano James Kassay si aggiungono agli altri sette finalisti: i russi Dimitrii Sharafutdinov e Rustam Gelmanov, lo sloveno Jernej Kruder, il giapponese Rei Sugimoto, lo sloveno Jeremy Bonder e gli italiani Gabriele Moroni e Michael Piccolruaz.

Dalle 15.00 si è disputata la prova femminile. Nonostante il numeroso gruppo di italiane in gara nessuna si è qualificata per la finale, Annalisa De Marco la prima delle italiane al settimo posto. Il team sloveno in gran forma ha inserito due atlete nella lista di domenica, Katja Kadic e Julija Kruder, insieme a loro anche la russa Ekaterina Andreeva e la koreana Sol SA. Le altre protagoniste della finale di Domenica 31 agosto saranno Akiyo Noguchi, Alex Puccio, Fanny Gibert e Katharina Saurwein e Petra Kingler.

ROCK MASTER 2014
– Classifiche Open Boulder
– Portfolio Open Boulder

L’italiana Angelika Rainer si riconferma, vincendo per la quinta volta la tappa della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio di Saas Fee in Svizzera; dominio assoluto per il russo Maxim Tomilov che ha vinto tutte le tre tappe fin qui disputate

All’interno dell’ Eis Dome di Saas Fee si è svolta la terza tappa della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio, ovvero la Ice Climbing World Cup presented by The North Face. Su questa mitica struttura si sono dati battaglia i migliori ice climber del mondo, e quest’anno la novità è stata la massiccia presenza di giovani tra i 16 ed i 21 anni, rimasti a gareggiare nella categoria maggiore dopo i campionati mondiali giovanili della settimana scorsa.

In campo maschile Maxim Tomilov ha dato sfogo alla propria classe vincendo la terza gara consecutiva in questa stagione, e battendo i suoi compagni di squadra Alexey Dengin e Nikolay Primerov. La via maschile era in assoluto tra le più tecniche mai proposte, con passaggi molto delicati che non tutti i climber sono riusciti a scalare, tanto che neanche il fortissimo russo è riuscito a far top e si è fermato a parecchi rinvii dalla fine; anche la presenza di molto ghiaccio e di un tronco orizzontale da “battere” ha reso la sfida più spettacolare, gradita dal numeroso pubblico sugli spalti! Da segnalare il buon piazzamento di Matteo Rivadossi, primo escluso dalla semifinale e l’ottimo 5° posto del 17enne svizzero Yannick Glatthard, un vero fenomeno!

La finale femminile è stata vinta da Angelika Rainer, quinta vittoria in carriera a Saas Fee, su nove volte in gara, un ottimo bottino per l’altoatesina che si è detta veramente felice per questa nuova vittoria. La gara è stata molto combattuta, e fino all’ultimo secondo non è stato possibile capire quale fossero le posizioni sul podio. L’italiana, la coreana Song HanNarai e la svizzera Petra Klingler hanno tutte finito il tempo di gara imposto dai tracciatori, distanziandosi solo per una presa ed un rivio. Ne è risultato uno spettacolo avvincente con finale al cardiopalma, che il pubblico ha notevolmente sostenuto!

La prossima tappa sarà il Campionato Mondiale di Rabenstein – Corvara, nella bellissima Val Passiria sopra Merano dove Angelika Rainer giocherà in casa e tenterà di difendere il titolo di Campionessa del mondo. L’AVS Altoadige, che iscrive tutti gli atleti italiani alla Coppa del Mondo di Ice climbing, e gli organizzatori di questo importante evento, unico in Italia, vi invitano a partecipare numerosi ed a tifare gli italiani in gara!

di Marco Servalli

Classifica Men Lead
1 Maxim Tomilov RUS
2 Alexey Dengin RUS
3 Nikolay Primerov RUS
4 Yevgen Kryvosheytsev UKR
5 Yannick Glatthard SUI
6 Alexey Tomilov RUS
7 Nikolai Kuzovlev RUS
8 Valentyn Sypavin UKR

Classifica Women Lead
1 Angelika Rainer ITA
2 HanNaRai Song KOR
3 Petra Klingler SUI
4 Nadezhda Gallyamova RUS
5 Nadezda Smirnova RUS
6 Liudmila Badalyan RUS
7 Alena Kochebaeva RUS
8 Marianne van der Steen NED

Classifica Men Speed
1 Nikolai Kuzovlev RUS
2 Leonid Malykh RUS
3 Vlad Golub RUS
4 Egor Trapeznikov RUS
5 Vladimir Kartashev RUS
6 Nikolay Shved RUS
7 Maxim Vlasov RUS
8 Alexey Vagin RUS

Classifica Women Speed
1 Ekaterina Koshcheeva RUS
2 Julia Oleynikova RUS
3 Maria Krasavina RUS
4 Natalya Kulikova RUS
5 Nadezhda Gallyamova RUS
6 Ekaterina Feoktistova RUS
7 Alena Kochebaeva RUS
8 Kendra Stritch USA

Click Here: NRL Telstra Premiership

Il climber tedesco Alexander Megos ha effettuato la prima salita di Schweinebaumeln 9a (35) nella falesia Elphinstone, Blue Mountains, Australia.

Alexander Megos è attualmente in tour in Australia dove già nel 2013 aveva liberato il primo 9a del continente, Retired Extremely Dangerous a Diamond Fall nelle Blue Mountains. Ora il tedesco raddoppia, dopo soli 5 tentativi in due giorni, con la prima salita del Schweinebaumeln ad Elphinstone. Spittata da Lee Cossey, questa linea di 35m era solo uno dei tanti difficili nuovi progetti di questa eccezionale falesia, venuta alla ribalta internazionale all’inizio del 2015, quando Monique Forestier aveva ripetuto l’8c Tiger Cat.

Click Here: IQOS White

Megos è evidentemente in grande forma: infatti è riuscito a salire in stile flash pochi giorni fa proprio Tiger Cat, mentre prima di arrivare in Australia aveva fatto tappa in Giappone dove aveva velocemente salito l’8C boulder Kanoto prima di ripetere Flat Mountain, il 9a/+ liberato nel 2003 da Yuji Hirayama.