Month: August 2019

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Il video del futuro 9b del nuovo progetto di Adam Ondra che nella grotta di Flatanger in Norvegia ha salito due altri 8c+ a vista aggiungendo anche la salita di un nuovo 9a+

L’ennesimo 8c+ a vista per Adam Ondra. Secondo alcune fonti il fenomeno della Repubblica ceca ha ormai raggiunto e superato la doppia cifra, ovvero il 19enne è già a quota undici 8c+ on-sight con, in ordine di tempo, Eye of Odin (liberato da Ethan Pringle pochi giorni prima) e Nordic Flower (ex 9a ora 8c+ di Jorg Verhoeven) nella grotta di Flatanger in Norvegia.

E’ chiaro che per Ondra l’8c+ a vista e il 9a lavorato è diventato uno standard, tanto che alcuni sembrano quasi non considerarli più come una notizia. Ma finché gli altri non riescono ad uguagliare queste performance (Patxi Usuobiaga e Ramon Julien Puigblanque esclusi, essendo gli unici ad aver fatto un 8c+ a vista), l’8c+ on-sight rimane ancora un risultato di livello mondiale.

Parlando di performance mondiale, c’è da segnalare anche la prima libera di Ondra su Thor’s Hammer, i primi 2/3 (leggi due dei tre tiri saliti in continuità) del mega progetto di Magnus Midtboe. Stiamo parlando di altri 55m e di un altro 9a+ per Adam Ondra. Ma per questa difficoltà sul lavorato (cioè per le vie da 9a e 9a+ centrate con più di un tentativo), francamente, non siamo in grado di tenere il conto dei goal di Ondra!

In questo video invece Adam prova un nuovo progetto spittato da lui stesso con due giorni di lavoro. Un probabile 9b e “uno dei più duri al mondo. Forse il più duro.” Staremo a vedere.

– Magnus Midtbö e la falesia di Hanshellern a Flatanger in Norvegia

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Red Bull X-Alps 2013: Peter Gebhard quinto

August 23, 2019 | News | No Comments

L’altoatesino Peter Gebhard si classifica al quinto posto nel Red Bull X-Alps 2013.

Touchdown perfetto per il altoatesino Peter Gebhard che ieri sera si è piazzato quinto nel Red Bull X-Alps 2013, a poche ore dall’inglese Jon Chambers e dai due francesi Antoine Girard e Clement Latour, 4°, 3° e 2° rispettivamente, e quasi tre giorni dopo il vincitore Christian Maurer. Il 28enne della Val Gardena ricorderà sicuramente questa sua prima partecipazione, anche per il gran tocco di classe con cui è atterrato sulla zattera dell’arrivo!

Il Red Bull X-Alps si è trasformato oggi in un’impresa quasi sovraumana per gli atleti che si avvicinano a Monaco. Dopo tanta strada, l’ultima tappa di Peille, si rivela, infatti, simile a una tortura per i partecipanti che si trovano ad affrontare l’ultimo tratto di percorso.

“Non ci sono strategie di gara, nella parte finale ci sono montagne ovunque”, dice Jon Chambers (GBR), giunto martedì quarto al traguardo. Il britannico ha percorso i restanti 12 km di corsa in solo due ore e mezza.

“Non si tratta di montagne alte, ma è il dislivello ad essere davvero impegnativo. No è per nulla semplice, quasi un incubo, non appena giunti a valle si perde completamente l’orientamento”, continua l’inglese, “Come un labirinto, tanti sentieri, facile perdersi”.

Gli atleti Ferdinand Van Schelven (NED), Martin Müller (SUI2) e il campione mondiale di parapendio Aaron Durogati (ITA1) hanno affrontato questo pomeriggio il tanto temuto ultimo tratto di percorso, con l’obiettivo di raggiungere il traguardo entro sera.

Van Schelven è l’unico dei tre che non ha ancora utilizzato il Night Pass. Questo significa che se gli altri due partecipanti non dovessero arrivare entro le 22.30 di questa sera, prima dello stop obbligatorio, l’olandese conquisterebbe di certo il sesto posto.

Gli altri partecipanti che utilizzeranno il Pass questa notte sono Andy Frötscher (ITA3), Max Mittmann (GER3) e Michal Krysta (CZE) che si trovano tra 250 km e 350 km da Monaco.

Le previsioni meteo di Wetter.tv non favoriscono il volo, ciò preannuncia una dura lotta e tanta fatica per gli atleti intenzionati a raggiungere Monaco entro il cut-off di Venerdì alle ore 12.00.

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NEWS RED BULL X-ALPS 2013

Seguite la gara su: www.redbullxalps.com, facebook e twitter.

Il 25/04/2013 Giacomo Casiraghi, Francesco Forni, Mario Vannuccini hanno effettuato la prima salita di Goulotte Lele (250m, III/WI2+R, M3/M4) sulla parete nord di Punta Rosatello Bertolini 2588m nell’area del Pizzo di Coca – Val d’Arigna – Orobie Valtellinesi.

Prosegue da parte di Mario Vannuccini ed amici l’esplorazione sciistica e alpinistica dell’alta Val d’Arigna, nelle Orobie Valtellinesi. Il 25 aprile 2013 Giacomo Casiraghi e Francesco Forni, entrambi frequentanti i corsi per aspirante guida alpina, insieme a Mario Vannuccini, guida alpina, hanno compiuto la prima salita della "Goulotte Lele" sul versante settentrionale della Punta Rosatello Bertolini 2588 m, nell’area del Pizzo di Coca – Val d’Arigna – Orobie Valtellinesi.

Lasciata l’auto alla centrale di Armisa 1044 m i tre hanno percorso la stradetta della Val d’Arigna fino a Prataccio 1458 metri proseguendo verso il Bivacco Resnati. A una quota di 1700 metri gli alpinisti hanno piegato a sinistra imboccando il canalone che si innalza verso il Passo di Val Sena 2594 m, che da quanto si apprende dalla Guida Monti d’Italia "Alpi Orobie" del 1957 non possiede uno sbocco escursionistico, difeso com’è da una compatta barriera rocciosa. Proprio lungo questa remota fascia rocciosa esposta a nord, che dal Passo di Val Sena si snoda verso la Punta Rosatello Bertolini, durante il periodo primaverile si formano numerose goulotte parallele, all’apparenza difficili e chiuse in alto da imponenti cornici strapiombanti.

La "Goulotte Lele" è la prima di queste linee che s’incontrano sulla destra risalendo il canalone di Val Sena. Per raggiungerne la base (coord. 32T 577968 E, 5104082 N), posta a una quota di 2150 metri circa, sono occorse circa 3 ore di avvicinamento. Durante la salita, tratti di perfetto "ghiaccio da goulotte" si sono alternati a passaggi con ghiaccio e neve inconsistenti e brevi movimenti su roccia levigata. Le difficoltà complessive di queste 5 lunghezze di corda sono state così riassunte: III/WI2+R, M3/M4.

I 250 metri di questa delicata linea di ghiaccio e misto sono stati dedicati alla guida alpina Emanuele "Lele" Gianera, recentemente scomparsa.

SCHEDA: Goulotte Lele, Punta Rosatello Bertolini, Orobie Valtellinesi

Mario Vannuccini, guida alpina di Sondrio, è l’autore della nuovissima guida di alpinismo "4000 delle Alpi, vie normali." 272 pagine, 54 vie normali, 65 vette da raggiungere, 116 fotografie a colori. Hanno contribuito ad accrescere il valore della pubblicazione, mettendo a disposizione le proprie fotografie, gli alpinisti Fabio Bonomi, Tita e Cece Bonomi, Franz Rota Nodari, Aldo Bonazzi, Giovanni Rovedatti, Giovanni Malinverni, Luca Vezzoni, Roberto Maruzzo e Marzia Fioroni. La pubblicazione è disponibile nelle migliori librerie e negozi di montagna o direttamente online da VEL, La Libreria del Viaggiatore, al prezzo di 28 euro.

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Il 27/12/2012 David Lama e Peter Ortner hanno aperto la via Sprindrift (600m, VIII-, M6, WI VI, A1) sulla parete nord del Laserz, Dolomiti di Lienz, Austria.

Pochi giorni dopo l’inizio del calendario invernale sono subito protagonisti gli alpinisti austriaci David Lama e Peter Ortner che hanno registrato una difficile prima salita sulla parete nord del Laserz nelle Dolomiti di Lienz. I due hanno seguito una linea che avevano già tentato lo scorso inverno e che sale una serie di fessure e diedri nel centro della parete (più o meno tra le vie di Egger-Maier e Die Vergessene). Mentre in estate queste fessure e camini tendono ad essere bagnati, in inverno formano un terreo “eccezionale, una linea esigente ed eccitante” secondo Lama.

Dopo aver controllato per bene le previsioni meteo, il 26 dicembre i due hanno raggiunto la Dolomitenhütte, il rifugio che si trova a circa 1,5 ore dalla cima Laserz, per trascorre la notte. Partiti presto la mattina successiva hanno raggiunto la base della parete nord alle 6:00 e poi hanno arrampicato continuamente, superando la parete alta 600m, e rientrando al rifugio alle 9 di sera, dopo essersi calati lungo la parete ovest. Le difficoltà maggiori sono concentrate nella parte inferiore della via, in particolare il quarto tiro, quello chiave, con la fessura strapiombante di 5m su roccia friabile. Nella parte alta il misto ha garantito un terreno decisamente più facile, l’arrampicata è rimasta “impegnativa e sempre piccante.”

“Abbiamo chiamato la nostra via Spindrift”, Lama ci ha spiegato, “per ovvi motivi! Le condizioni erano abbastanza buone così come il ghiaccio per piantare le picche, anche se posizionare delle soste ottimali non è stato facile. Durante il nostro primo tentativo l’inverno scorso siamo stati costretti a tornare indietro dopo i primi quattro tiri perché non avevamo con noi abbastanza materiale. Questa volta quindi abbiamo portato due set di friends e questo ha fatto la differenza, sono riuscito a trovare il coraggio per continuare a salire. “Nessuno spit è stato pianato e sulla via sono rimasti soltanto una manciata di chiodi normali e 2 dadi”.

“L’esperienza è stata fantastica”, ha concluso Lama “eravamo più o meno al nostro limite e dovevamo essere veloci perchè in inverno le giornate sono davvero corte, quindi ci sono poche foto, la macchina è rimasta nello zaino per la maggior parte del tempo. È stato bello sentirsi al limite, anche qui nelle Alpi, e trovare una linea che nessun altro aveva salito prima, proprio qui nelle montagne di casa.”

Lama partirà a breve per la Patagonia, questa volta non sarà accompagnato da Ortner con il quale l’anno scorso aveva liberato la Via del Compressore sul Cerro Torre, ma insieme allo svizzero Dani Arnold.

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Nuove vie invernali sul Pizzo del Becco

August 23, 2019 | News | No Comments

L’ 8 e il 9 dicembre 2012 durante il primo raduno B.A.L. (Bocia Alpinisti Lombardi) sono state aperte tre nuove vie sulla parete nord dello Spallone Pizzo del Becco (Orobie, Alta Val Brembana, BG); Fò di B.A.L (250m, III – WI 2 – M5), Beccati questa Goulotte (250m, II – WI 2 – M4) e Bo (250m, II – WI 2 – M4).

Tito Arosio e Saro Costa ne hanno combinata una delle loro. Non si tratta di una nuova salita, di una prima invernale o di raccontare la loro avventura su Divine Providence al Gran Pilier d’Angle, questa volta l’hanno fatta grossa, grossissima. Se le istituzioni e le associazioni non pensano alla promozione dell’alpinismo tra i giovani, sono i giovani che si autogestiscono ed autopromuovono. Non servono budget di alcun tipo e montagne in capo al mondo, serve solo tanta passione e voglia di mettersi in gioco … e le montagne? Quelle le abbiamo dietro casa ed anche lì tanti complimenti a questi bocia, che senza andare al Ben Nevis, hanno trovato un bel terreno di gioco dove ripetere linee antiche, moderne e crearne di nuove. Ecco il racconto di Arosio e Costa, per saperne di più consigiliamo vertical-orme.blogspot.it e vertical-orme.blogspot.it/pizzo-del-becco-in-veste-invernale

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B.A.L. – BOCIA ALPINISTI LOMBARDI – DISPACCIO 1.0
di Tito Arosio

L’8 e 9 dicembre 2012, in un angolo sperduto delle montagne lombarde una quindicina di giovani (bocia) si sono dati appuntamento per arrampicare insieme, persone che prima non si erano mai viste, e che difficilmente si sarebbero conosciute; si sono ritrovate sapendo di avere tutti una passione in comune: l’Alpinismo. L’idea di organizzare un raduno tra giovani alpinisti è venuta a Saro e a me durante una chiacchierata, prendendo coscienza del numero esiguo di giovani alpinisti: perché non metterli in contatto tra loro? Non sono bastate temperature di -10°, raffiche di vento che ti buttavano a terra, spindrift in tutte le direzioni per togliere la voglia di arrampicare ad uno sparuto gruppo di giovani alpinisti che, nel weekend dell’Immacolata, si sono ritrovati alle pendici del Pizzo del Becco (Orobie, alta val Brembana – BG). Il primo raduno dei BAL (Bocia Alpinisti Lombardi) è avvenuto in condizioni meteorologiche non esattamente ottimali ma questo è stato un dettaglio, la passione per la montagna ha prevalso sul freddo ed il vento. L’obbiettivo era avere la possibilità di arrampicare con nuovi compagni di cordata, e quale cosa migliore se non testare la tenuta della cordata con una serie di spindrift a raffica? 6 cordate per un totale di 13 alpinisti, con un età media di circa 22 anni, di 4 provincie differenti (Milano, Lecco, Bergamo e Brescia), si sono avventurate sulle vie del Pizzo del Becco e Spallone del Becco, con la compagnia di 3 esponenti del gruppo alpinistico femminile catalano. Nel complesso le vie ripetute sono state: la Agazzi + Couloir dello zocolo sul Pizzo del Becco, la Super Mario sullo Spallone del Becco, la Becche al Becco con una variante Sullo spallone del Becco e l’apertura di due nuove vie sullo Spallone del Becco.

PRIMO RADUNO B.A.L. di Saro Costa
B.A.L. sta per bocia alpinisti lombardi. Bocia ha un significato molto importante perché evidenzia il fatto che siamo giovani, un ritrovo di giovani organizzato da giovani per i giovani. Bene, dopo alcune settimane passate ad organizzare tutto (mica facile pensare al necessario per una quindicina di persone!) ci troviamo sotto una gran nevicata a risalire la condotta di Carona! Voglio subito ringraziare i guardiani della diga che ci hanno gentilmente offerto un ottimo “campo base” senza il quale il raduno sarebbe stato davvero duro…
La minestra già ribolle nel pentolone e il “gruppo” inizia a prendere vita. L’idea per il giorno seguente è di creare cordate di estranei in modo che le conoscenze avvengano direttamente sul campo. Il Vallone di Sardegnana con il Pizzo del Becco e lo Spallone del Becco offrono tante vie di misto di media difficoltà e lunghezza dove giocare, l’ambiente e lo stile delle salite è decisamente alpinistico. Il gruppo parte e dopo un duro lavoro di battitura neve, inizia a distribuirsi sulle pareti e incominciano le “esperienze”. Alcuni ribattono subito, alcuni tentano, alcuni non mollano, alcuni si uniscono, alcuni arrivano in cima, alcuni aprono nuove linee poi, chi prima chi dopo, tutti tornano al campo base. E’ forse adesso, sorseggiando tè e sgranocchiando biscotti, il momento interessante, il momento in cui si ascoltano i racconti, i pareri e le critiche. Ognuno dice la sua (lo scopo del raduno sta avendo luogo), c’è chi torna a casa, chi si ferma per una porzione di ravioli e vino e poi scende, chi si trattiene e chi non vede l’ora di scalare ancora. La giornata è stata dura, il freddo e il vento tempestoso non hanno aiutato, le condizioni obbligavano ad una scalata non facile e spesso precaria ma ci siamo divertiti, è stata un’ottima giornata. Siamo riusciti a fare alpinismo. La seconda mattina siamo solo in cinque a lasciare il campo, risaliamo nuovamente verso le pareti e attacchiamo due linee nuove, anche oggi non ci conosciamo del tutto e ad ogni sosta la cordata prende sempre più forma. Torniamo giù, è ora di lasciare questo bellissimo posto. Passiamo per un caffè corretto dai guardiani, carichiamo i sacconi e via, chi con la frontale chi senza… E’ stata un’esperienza umana dove persone simili (ma tutte diverse), accomunate dalla stessa passione, si sono ritrovate per fare quello che più li piace, per fare quello che vogliono. Per goderci a fondo la situazione e la nostra libertà decidiamo di continuare e il giorno seguente andiamo a Cornalba ad arrampicare!

Per leggere tutti i racconti dei partecipanti vai su vertical-orme

Per l’organizzazione del raduno si ringraziano i guardiani della diga di Sardegnana per la disponibilità e la calda l’accoglienza e la “Grande Grimpe” per caldi berretti offerti e subito testati.

SPALLONE PIZZO DEL BECCO
Via: “Fò di B.A.L.”
Primi salitori: Giulia Venturelli, Maurizio Tasca, Saro Costa, Alessandro Monaci, Paolo Grisa – 8 Dicembre 2012
Difficoltà: III – WI 2 – M5+
Dislivello: 250m
Materiale: in posto non è stato lasciato nulla, servono due mezze corde da 60 m, serie di friend Camalot fino al 4, una serie di dadi, rinvii e cordini, qualche chiodo da roccia.
Note: possibili due varianti di attacco (vedi foto), la via si collega con gli ultimi due tiri di Becche al Becco.

Via: “Beccati questa Goulotte”

Primi salitori: Saro Costa, Francesco Rigosa, Michele Tapparello – 9 Dicembre 2012
Difficoltà: II – WI 2 – M4
Dislivello: 250m
Materiale: in posto non è stato lasciato nulla, servono due mezze corde da 60 m, serie di friend Camalot fino al 4, una serie di dadi, rinvii e cordini, qualche chiodo da roccia.
Note: la via si collega con gli ultimi due tiri di Super Mario (possibile anche scendere in doppia da quest’ultima).

Via: “Bo”
Primi salitori: Tito Arosio, Giulia Venturelli – 9 Dicembre 2012
Difficoltà: II – WI 2 – M4
Dislivello: 250 m
Materiale: in posto non è stato lasciato nulla, servono due mezze corde da 60 m, serie di friend Camalot fino al 4, una serie di dadi, rinvii e cordini, qualche chiodo da roccia.
Note: la via si collega con gli ultimi due tiri di Super Mario (possibile anche scendere in doppia da quest’ultima).

Sagwand prima invernale per Auer, Lama e Ortner

August 21, 2019 | News | No Comments

Il 16 e 17 marzo 2013 gli alpinisti austriaci Hansjörg Auer, David Lama e Peter Ortner hanno effettuato la prima invernale della parete Sagwand salendo la via Schiefer Riss aperta da Mathias Rebitsch e Roland Berger nel 1947.

Situata in fondo alla Valsertal nello Zillertal in Austri, la Sagwand è un luogo freddo e selvaggio che anche nella migliore delle estati, per a sua reputazione di roccia brutta e spesso bagnata, convince molti alpinisti a dirigersi verso altri obbiettivi. Non è stato certo così per l’asso austriaco David Lama che nel 2008 assieme all’olandese Jorg Verhoeven aveva aperto Desperation del Northface, una via estiva molto difficile e seria lungo l’evidente pilastro chiamato Sagzahn. Questo enorme “dente” di oltre 800m è stato salito per la prima volta nel 1947 dal leggendario alpinista Hias Rebitsch assieme a Roland Berger lungo un sistema di fessure che taglia in diagonale la parete chiamata Schiefer Riss. Questa “fessura storta” è subito diventata una delle vie più temute del Tirolo, tanto che la prima ripetizione è stata effettuata da Heinz Mariacher e Hans Peter Brandstätter Hölzl nel 1976, quasi trent’anni dopo.

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Sono trascorsi 66 anni da quella prima salita e le ripetizioni sono poche e si contano su una sola mano. A rendere tutto più complicato un’enorme frana, caduta pochi anni fa, ha eliminato un pezzo consistente della via. Pur non essendo più nella sua forma originale, David Lama, attraversandola cinque anni fa insieme a Verhoeven, si è immediatamente reso conto che la parete poteva offrire un terreno ideale per realizzare un’impegnativa salita invernale. "L’arrampicata è davvero impegnativa" ci ha spiegato Lama "bisogna fare i conti con roccia marcia e poche protezioni. Tutte le vie qui sono delle grosse imprese e puoi stare certo d’essere l’unico qui su. Direi che è una delle zone più belle per l’arrampicata invernale nel Tirolo e spesso si trovano condizioni simili a quelle sulle cime sopra Chamonix. "

Negli anni successivi a Desperation del Northface, Lama è tornato nella Valsertal svariate volte fino a portare a termine la sua prima salita, in solitaria nell’aprile 2012, di Badlands sulla parete innominata tra la Sagwand e Hohe Kirche. Proprio in quel momento è ritornata l’idea di salire Schiefer Riss; Lama ha discusso la fattibilità assieme all’abituale compagno di cordata Peter Ortner ed anche all’amico e nativo dell’Ötztal, Hansjörg Auer. Entrambe hanno subito detto sì a questo progetto di una prima invernale in questa valle ingiustamente finita nel dimenticatoio. "Schiefer Riss è la linea più evidente della parete" ci ha spiegato Auer "gradata VI, questa via ha fatto la storia dell’alpinismo, non solo qui in Tirolo. Dovevamo semplicemente andarci!". Ortner ha confermato: "Come alpinista non potevamo dire di no a questa idea di David."

Un prima tentativo è avvenuto l’’11 marzo (senza Ortner a causa di impegni già presi) e pur salendo bene, Auer e Lama, hanno dovuto abbandonare per il buio la salita a circa due terzi della parete, non avendo l’attrezzatura adeguata per un bivacco.

Cinque giorni più tardi Auer e Lama tornano di nuovo all’attacco, questa volta con l’attrezzatura per un bivacco e, soprattutto, insieme a Ortner. Dopo l’avvicinamento con gli sci di 2 ore i tre hanno raggiunto la base della parete alle 9.00 e sono partiti con l’intenzione di raggiungere una piccola cengia a circa metà parete, che avevano notato durante il primo tentativo, per bivaccare comodamente. Le cose sono andate diversamente: "Con le piccozze abbiamo tolto il ghiaccio e la neve dalla piccola cengia e poi ci siamo preparati per quello che è stato probabilmente il bivacco più difficile della nostra vita", racconta Lama. "Quando abbiamo lasciato la macchina alle 7:00 la temperatura era già scesa a -22°C e, anche se avevamo con noi l’attrezzatura da bivacco, purtroppo abbiamo deciso di portare sacchi a pelo leggeri e quindi ci siamo congelati per tutta la notte. Non solo: eravamo anche esposti alla caduta di neve”. Ortner ha spiegato: "Eravamo consapevoli che non c’era assolutamente nessuna chance di dormire, quindi ci siamo seduti uno affianco all’altro ad attendere l’arrivo dell’alba." Ripartiti alle 5:00 della mattina hanno completato la via. La cima è stata raggiunta poco prima di mezzogiorno e poi si sono rapidamente calati per la parete, inizialmente lungo la via di salita, proseguendo poi direttamente giù per la verticale. "Può sembrare sciocco per alcuni", Lama ha sottolineato, "ma per noi raggiungere la cima è sempre molto importante, la consideriamo ancora una parte integrale del gioco."

Un gioco per niente semplice: Lama ha salito da capocordata una prima sezione di tiri tecnici, Auer ha poi superato il tratto di roccia friabile per aprire la strada a Ortner che li ha condotti in vetta. "I miei tiri erano su una parte della salita mai vista, dato che il punto più alto raggiunto dagli altri era un tiro sopra il nostro bivacco" ha spiegato Ortner, aggiungendo "Questo significava che era giunto il momento per me di contribuire a questa salita invernale." Inoltre, Auer ci ha ribadito: "L’arrampicata è sempre stata intensa, solo pochi tiri possono essere considerati facili. L’intera via è stata salita con piccozze e ramponi, le protezioni non erano eccezionali e bisognava evitare qualsiasi caduta. Tutti e tre siamo riusciti a salire la via in libera. Salire da primo è sempre difficile mentalmente, quindi è stato veramente bello essere in tre e potersi dare il cambio.”

Tre giorni dopo la loro prima salita invernale del Schiefer Riss, e quindi anche della parete nord del Sagwand, Auer ci ha confidato che tutti e tre erano ancora piuttosto stanchi dalla loro esperienza. "Come spesso accade, ci sono ancora grandi sfide qui nelle Alpi, sulle nostre montagne di casa. Per tutti e tre questa è stata sicuramente una delle nostre invernali più difficili.”

Intervista a Lorenzo Di Nozzi autore del volume Valsesia – Volti d’alpeggio un volume fotografico a cura di Paola Riccardi che racconta il viaggio durato due anni tra i pastori Walser della Valsesia (Monte Rosa).

“I pensieri sono liberi / chi mai può indovinarli? / Passano in un sussurro / come ombre notturne / nessuno li può conoscere / nessun cacciatore uccidere / e così resta stabilito / sono liberi i pensieri.” Questo canto popolare Walser, insieme ad altre poesie, preghiere e canti accompagna i Volti e i Paesaggi “d’alpeggio” che lo sguardo di Lorenzo Di Nozzi ci restituisce in questo prezioso libro. Il suo è stato un viaggio durato due anni. Un lungo percorso fatto d’incontri e condivisioni con quel popolo Walser che vive nelle alte terre della Valsesia, nel territorio del Monte Rosa. Sono visioni, quelle che ci restituisce Lorenzo Di Nozzi, che nascono da pennellate di luce, da attimi in cui sembrano materializzarsi quei pensieri, sempre liberi, che uniscono l’uomo alla natura. Questi Volti d’alpeggio raccontano un mondo. Hanno sguardi che parlano quello speciale linguaggio che si rivolge all’anima e alle emozione. Ci ricordano qualcosa che c’era e che si vuole continui ad essere. Sanno di fatica ma anche di consapevolezza di una scelta, quei volti. Parlano di uomini e donne, di ragazzi e ragazze, dei loro sogni e della loro assoluta immersione nel paesaggio da cui traggono forza e sostentamento. E, tra luce e montagne, i loro occhi ci ricordano che la bellezza sta in noi e tra noi e, sempre, ha a che fare con quei pensieri che silenziosi volano liberi.

Intervista con Lorenzo Di Nozzi, autore di Valsesia – Volti d’alpeggio

Lorenzo cosa ti ha spinto lassù, in Valsesia, per questo lavoro?
Un sogno. Anzi due… Il primo era quello di realizzare un progetto fotografico in bianco e nero focalizzato sui volti di persone che amano ciò che fanno. Il secondo quello di fare qualcosa per la Valsesia, un luogo a cui devo tantissimo, dove ho imparato ad amare la montagna… grazie a mio padre.

Come si è concretizzato questo sogno?
Da qualche parte ho letto che i sogni, nel loro processo verso la realizzazione, attraversano quattro stadi: impossibile, improbabile, difficile… e inevitabile. È proprio ciò che è capitato a me: quando i due desideri si sono incontrati hanno dato vita al progetto, ed io non ho potuto fare altro che seguirlo, alimentarlo, affinchè si palesasse… non avevo scelta. A livello fotografico è stato un lavoro ben lontano dalla mia occupazione attuale (sono fotografo di scena e lavoro principalmente in teatro). Nonostante questo, a posteriori mi sono ritrovato a cercare luci e scene del tutto simili a quelle di un palcoscenico.

Cosa hai trovato lungo questo cammino?
Non vorrei sembrare banale, ma la prima parola che mi viene in mente quando mi si pone questa domanda è Armonia. Come si può immaginare non è una vita facile quella del pastore; è una scelta costellata di fatica, sforzi e sacrifici. Ma a mio avviso sono proprio queste difficoltà a cui non siamo più abituati, che permettono di ritrovare quell’armonia con la natura, quel magico equilibrio con gli altri esseri viventi. Il “fare fatica” è una dell chiavi che permettono a chi vive in queste realtà di sperimentare quella splendida “condivisione” che ho potuto ammirare e sperimentare durante questo progetto.

Che tipo di “paesaggio” hai trovato?
Premetto che ritengo ci sia una differenza notevole tra “paesaggio” e “panorama”. Infatti secondo me il “paesaggio”, a differenza del “panorama”, comprende l’uomo e le sue tracce. Detto questo, il paesaggio che mi si è presentato è stata una lezione di vita per me. I pastori dell’Alta Valsesia hanno saputo mantenere gli insegnamenti dei loro antenati Walser. Nonostante l’arrivo della tecnologia hanno saputo mantenere quella coscienza che tiene lontani dall’arraffare al territorio quanto più si può. Una scelta lungimirante dello sfruttamento del territorio e degli allevamenti, che si sforza di mantenere l’equilibrio tra ciò che si prende e ciò che si lascia, tra ciò che si modifica e ciò che si lascia inalterato (o almeno si prova).

VALSESIA – Volti d’alpeggio
fotografie di: Lorenzo Di Nozzi
a cura di: Paola Riccardi
testi walser di autori vari
www.valsesiavoltidalpeggio.com

Lorenzo Di Nozzi è fotografo di scena. Vive diviso tra la Spagna e il Lago d’Orta. Attualmente lavora come fotografo ufficiale del Palau de la Musica di Barcellona. E’ fotografo ufficiale dell’International Jazz Festival di Barcellona e delle Settimane Musicali di Stresa, collabora con teatri e manifestazioni spagnole, come il Teatro Victoria, il Barcellona Gospel Festival, il festival PalauJazz. Recentemente ha collaborato con il Teatro Regio di Torino per la rassegna “Le nove sinfonie”, dirette da Gianandrea Noseda. La passione per il Monte Rosa e la Valsesia gli è stata trasmessa dal padre, che lo ha condotto in questi luoghi fin dalla primissima infanzia, insegnandogli ad amarli, a conoscerli e soprattutto, a rispettarli.

Rock Junior Spirit, le immagini di Giulio Malfer

August 21, 2019 | News | No Comments

In 22 scatti il Rock Junior 2013 e i suoi protagonisti visti da Giulio Malfer.

Il Rock Junior è un salto verso il futuro, l’andiamo ripetendo da anni. Un laboratorio e insieme uno sguardo verso quello che sarà, dell’arrampicata e non solo. Chi meglio dei giovanissimi climber della festa dell’arrampicata di Arco può farci sperare e sorridere? In questi ritratti e scatti dal Climbing Stadium di Arco, Giulio Malfer ce ne dà una prova.

– Vai alle foto di Giulio Malfer sul sito ufficiale

ROCK JUNIOR 2013
31/08/2013 – Rock Junior 2013: il report della prima giornata
31/08/2013 – Rock Junior 2013 partita la prima giornata dell’Under 14 Cup
28/08/2013 – Record di partecipanti al Rock Junior 2013
22/08/2013 – Rock Master 2013: un trofeo per Tito Traversa

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San Vito Climbing Festival – Bolting Edition

August 21, 2019 | News | No Comments

Maurizio Oviglia fa una relazione del recente convegno organizzato a San Vito lo Capo che ha discusso i problemi dell’attrezzatura delle falesie, la sicurezza dei fix in arrampicata sportiva in ambiente marino ma non solo e le responsabilità dei chiodatori e degli enti che eventualmente finanziano le chiodature.

Con questo titolo a sorpresa, che ha spiazzato un po’ tutti, il popolare evento di arrampicata sportiva si è preso una pausa per discutere dei problemi dell’attrezzatura delle falesie, nonché della sicurezza in arrampicata sportiva e delle responsabilità (se ne esistono) dei chiodatori e degli enti che eventualmente finanziano le chiodature. Un tema spinoso e controverso, in cui nel nostro paese c’è ancora molta confusione, alimentata dalla mancanza di leggi in materia, nonché di associazioni (come la francese COSIROC) che tutelino falesie e chiodatori. A tutto questo si è aggiunto il problema degli ancoraggi inox in ambiente marino, un “caso” scoppiato di recente e riportato su planetmountain che ha fatto molto discutere e comprensibilmente scaldato (o preoccupato, dipende dai casi) gli animi. Alla ASD, Associazione Rocce di Sicilia, organizzatrice del Convegno, il merito di aver portato a San Vito per discutere di tutto questo numerosi esperti di livello nazionale della materia, ma soprattutto di aver fatto pacificamente sedere accanto tutte le anime dell’Italia verticale, dalle guide alpine al CAI, dalla FASI alla UISP. Ma non solo, erano soprattutto presenti anche dei tecnici esperti di metalli ed aziende leader nella produzione di ancoraggi inox.

Il convegno si è aperto sulla questione delle recenti rotture di ancoraggi inox, avvenute per ora (limitandosi all’Europa) in Sardegna, Sicilia e Kalymnos. Il moderatore Peppe Gallo ha dato la parola a Maurizio Oviglia (CAAI e CAI) che, con una dettagliata relazione corredata da foto e video, ha esposto il problema e parlato della necessità di definire un criterio univoco per realizzare le soste in arrampicata sportiva. Oviglia ha lasciato la parola, per chiarire meglio tutti gli aspetti tecnici del problema e individuarne possibili soluzioni, a Matteo Dalvit (Università di Ingegneria di Trento) che sta affrontando direttamente il caso in collaborazione con l’UIAA. Dalvit ha fatto il punto sulle sue ricerche, chiarito meglio le dinamiche della corrosione interna dei vari tipi di acciaio, definito le differenze tra i vari tipi di corrosione e di acciai usati per la produzione di ancoraggi di arrampicata sportiva. Rispondendo alle numerose domande del pubblico, Dalvit si è dichiarato scettico riguardo al fatto che l’impiego di acciaio inox 316L possa risolvere o migliorare decisamente la resistenza alla corrosione in particolari circostanze di umidità, salsedine e tipo di roccia. Attualmente solo il titanio, infatti, dà queste garanzie ma i costi sono per ora proibitivi. Di diverso avviso su questo punto Cesare Raumer, leader in Italia nella produzione di ancoraggi inox, che ha preso atto del problema e si è in questi mesi adoperato giorno e notte per trovare una soluzione. Secondo Raumer la sua nuova linea di ancoraggi marini in 316L possiede delle caratteristiche che limitano al massimo questo tipo di corrosione, anche se certamente non escludono del tutto la possibilità che si verifichi. A questo proposito, ha sottolineato Raumer, gli attrezzatori devono fare la loro parte controllando bene la posa dei tasselli e valutare attentamente il tipo di roccia e il luogo dove intendono attrezzare.

Successivamente il discorso si è spostato su una possibile etica e regolamentazione dell’arrampicata sportiva ed il gravoso compito è toccato a Bruno Vitale (CAI INAL) che ha ricordato come fin dal ‘99 si era affrontato questo discorso in uno storico convegno tenutosi a Subiaco (Roma) da cui era scaturito il primo documento che stabilisse delle linee guida per gli attrezzatori. Vitale ha cercato di muoversi con disinvoltura tra etica e regole, in un’attività che è sempre stata fondamentalmente anarchica, ribadendo tuttavia la necessità che si arrivi a dei criteri univoci per l’attrezzatura, se è vero che l’arrampicata sportiva dovrebbe per definizione ritenersi “sicura”. La parola è quindi passata al Collegio delle Guide Alpine, rappresentato dal biellese Stefano Perrone (titolare insieme a Roberto Vigiani) del primo corso per chiodatori tenutosi in Italia e dal trentino Massimo Faletti. Si è quindi parlato della necessità di uniformare la chiodatura in zone ad alta concentrazione turistica come San Vito, dove incidenti dovuti ad errori di chiodatura potrebbero far ricadere la responsabilità sugli enti locali o sull’organizzazione di eventi. E’ giusto poter mettere mano a itinerari chiodati “male” per uniformarli a determinati criteri definiti “sportivi” o in uso in una particolare zona? Le guide hanno sottolineato l’importanza della formazione e della soglia di attenzione nella pratica della nostra attività, cosa che è purtroppo sovente scarsa nelle nuove generazioni che si avvicinano alla roccia attraverso le palestre indoor.

La parola a Graziano Montel (FASI) che ci ha raccontato dei problemi sorti in Puglia e di come hanno affrontato sulle loro rocce i diversi modi di chiodare, cercando di uniformarli, e poi a Ignazio Mannarano (UISP) che ha posto l’accento sulle aree protette dai piani paesaggistici o da vincoli idro-geologici che pongono via via sempre maggiori limitazioni rendendo quasi impossibile l’attrezzatura di nuove falesie o la frequentazione di quelle già esistenti. Mannarano ha ricordato come si sia adoperato per sbloccare dai vincoli molte falesie storiche dell’area di Palermo ma ha ribadito come sia necessario un dialogo a monte con gli enti locali che si occupano della definizione di tali aree.

Sandro Angelini (Responsabile della commissione Falesie della FASI) ha parlato della sua esperienza nelle Gole del Furlo (Marche) e messo sul piatto alcune spinose questioni. Di chi sono le falesie e chi ha diritto a riattrezzarle? Parlando della sua esperienza nella zona del Muzzerone, ha in parte risposto a questi quesiti Davide Battistella, che ha ricordato come associandosi si possa avere più forza e mettersi al riparo da eventuali rischi giuridici che, secondo Battistella, sono del tutto concreti.

Dopo più di tre ore di convegno ha chiuso i lavori Maurizio Oviglia con un arrivederci, magari organizzando un tavolo itinerante su questi problemi, in modo che si arrivi prima o poi alla definizione di criteri condivisi se non da tutti i chiodatori almeno dalle associazioni e dai professionisti di settore. Le luci si sono spente con la netta sensazione che per gli attrezzatori di falesie si sia chiusa un’epoca. Se da un lato ci si augura che una certa dose di libertà e di anarchismo sia mantenuta come parte integrante dell’arrampicata, occorrerà sempre più fare i conti con vincoli, proprietà private e possibili responsabilità che necessiteranno anche in questo campo di adeguata formazione, in modo che vengano rispettati i più elementari criteri di sicurezza. Dunque, voi direte, falesie certificate e patentino per i chiodatori? Di questo non si è parlato espressamente, ma siamo certi che saranno gli argomenti sul piatto per i prossimi anni con cui occorrerà certamente confrontarsi.

Nel frattempo le guide alpine Faletti e Perrone non hanno perso tempo ed hanno organizzato, tra un convegno e l’altro, due stage di chiodatura in una nuova falesia dimostrando come in Italia qualche volta passi ben poco tempo tra pensiero e azione. Intanto le falesie di Salinella, gremite da una folla di arrampicatori stranieri e italiani, in una San Vito dal clima decisamente estivo, dimostravano ancora una volta il gradimento in decisa ascesa di questa località. Anche grazie ai numerosi eventi organizzati, alla qualità degli esercizi ed alla musica, che anche quest’anno ha allietato il festival con una serie di interminabili cover dagli U2 a Bob Dylan.

di
Maurizio Oviglia

Resoconto convegno aree protette– Scarica il comunicato del Convegno aree protette organizzato dal Comune di San Vito lo Capo.

22/01/2013 – Sicurezza dei fix per arrampicata in ambiente marino: il commento di un tecnico ‘del mestiere’

14/02/2012 –
Moschettoni per le soste, prove in laboratorio
19/06/2012 – Corrosione dei fix inox per l’arrampicata in ambiente marino: lo stato della normativa
15/06/2012 – Sicurezza dei fix in ambiente marino, la riunione – convegno del Cai di Cagliari
29/05/2012 – Sicurezza dei fix per l’arrampicata in ambiente marino

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Assassin’s Creed: the story so far

August 21, 2019 | News | No Comments

There will likely never be a better entry point to Assassin’s Creed than Origins, released today. A prequel set a thousand years before the events of Assassin’s Creed 1, Origins can be enjoyed as your first experience of the series.

And yet AC is built on history – upon its own history – and the experience of playing Origins will only be lifted by knowing some of the series’ basics ahead of time. This year is Assassin’s Creed’s 10th anniversary, and Origins offers plenty for long-time fans in homage to its past.

Never played AC and don’t know your Ezio from your Eagle Vision? Skipped a few games later on? We’re here to help. Below lies a decade of story – condensed to the basics. If you aren’t up to date with the series, there will be no further spoiler warnings.

Hey there, Assassin’s Creed smartypants. Let’s start really simple: tell me about the Assassins. They’re the good guys although they also kill people – what’s that about?

The Assassins have been around a long time – since at least the time of Origins, as the game’s name sort of suggests. For a secret society centred around murdering people they are generally pretty benevolent. Assassins fight to overthrow tyranny and follow a strict code of honour – the creed – which among other things forbids the killing of innocents. They are supposed to only kill targets for the greater good, although various Assassins through history have bent the rules now and then when the need arises.

Okay, and the bad guys are the Templars?

Generally, yes. They’re the guys who think humanity would be better being guided, or ruled – generally by someone who is also a Templar. This may sound clear cut – Assassins vs. Templars, good vs. bad, free will vs. living under an evil dictator/king/Pope – but the series does a good job of showing the downsides to each viewpoint. Total free will can lead to anarchy, which isn’t great. And a little bit of control can be useful when humanity really needs to get its act together.

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Have the two sides ever considered sitting down and chilling out? Maybe catching a Michael Fassbender movie?

Yes – most notably in Unity – but things tend to always go south thanks to the hundreds of years of killing each other thing and some pretty extreme views still on each side.

That’s a shame.

Yes it is.

Wasn’t there an Assassin guy named Desmond? What happened to him, exactly?

The first five games in the series featured modern day sections where you played as a guy named Desmond Miles. He was an average joe who was captured by Templars because his ancestors were super important Assassins. Templar science organisation Abstergo has a device – the Animus – that reads the memories of these ancestors (which are somehow stored in DNA).

Wait, memory is stored in DNA?

Think how humans and animals are born imprinted with innate instincts and behaviour patterns but a whole lot more detailed. These memories are what you spend each Assassin’s Creed game playing: a virtual simulation of the past created by the Animus software. We haven’t even got to the really weird stuff yet.

So, what happened to Desmond?

Desmond didn’t have a great time of it, really. He was rescued from Abstergo by a potential love interest named Lucy (voiced by The Good Place’s Kristen Bell) who later turned out to be a Templar triple agent. He joined up with the remaining modern day Assassins, but got stuck with an annoying British historian voiced by Danny Wallace. Des slowly became an Assassin himself after spending time living through the lives of his ancestors – such as Altaïr and Ezio (more on them later) – but eventually died saving the world (more on that later, too).

Desmond died? So how did the series continue?

Abstergo now has the ability to let anyone experience someone’s genetic memories without an Animus, which is handy. It’s especially handy for the Templars, who are scouring history for supernatural artefacts.

Supernatural artefacts.

Like the Nazis in The Last Crusade. These artefacts, named Pieces of Eden, date from long, long ago and come in various forms with various powers. There were several “Apples of Eden”, for example, spherical objects which let the wielder control the minds of others, plus various other things – rings, swords, even a Shroud of Eden which you might know better as the Shroud of Turin which could heal people from mortal wounds.

Wasn’t the Shroud of Turin a real thing in history?

Assassin’s Creed lore is deep, man. Pretty much all of human history has been tied to the Assassins and Templars from Biblical times onwards. Brutus stabbing Caesar? Assassin plot. JFK assassination? Templar plot. There is an extremely detailed Assassin’s Creed wiki which chronicles all of the background information revealed throughout the various games and spin-offs. But we should be brief.

Who made these artefacts? I sense we’re about to get to the really weird stuff.

Funny you should say that. So, these artefacts were all made before human history by an earlier civilisation – the Isu, also known as the First Civilisation or Those Who Came Before. They were technologically far more advanced than humans are today and in fact tickled the existing evolutionary tree to help create us as a species – as a handy slave race they could boss about.

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Huh. I’m guessing this civilisation is not still around?

As evidenced by their lack of appearance in modern society, yes. The humans didn’t like being bossed about, so we rebelled. Hurrah! And, while fighting us, the Isu were then wiped out by a solar flare.

So that was the end of them?

Pretty much, although one particularly nasty Isu member is still around.

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Steve Bannon?

Juno – who lived on by preserving her consciousness. (Again, just roll with it.) When another solar flare was due in 2012 and global disaster was again imminent, Juno engineered it so Desmond could avert the danger only by releasing her at the same time.

Sneaky. So she’s alive again?

In a sort of pre-Philosopher’s Stone Voldemort-like spirit state. But there’s yet another secret organisation – the Instruments of the First Will – who want a full return of Juno and co. as overlords for humanity. The games haven’t gone into a lot of detail on them, yet.

Phew. Enough weird stuff please. How about we go through some of historical stories to date?

For sure. The original Assassin’s Creed explains the reshaping of the Brotherhood by a Syrian chap named Altaïr Ibn-La’Ahad, back during the Crusades. He was a grumpy dude but left behind a big legacy. In short, Altaïr was given reason to feel pretty cheesed off by the Assassins as they were, and decided to reshape the organisation as a more reliable force for good.

Assassin’s Creed 2, Brotherhood and Revelations all tell the story of Renaissance hero Ezio, arguably still the series’ most-loved protagonist. Over the trilogy you see him born and watch him grow, then watch as his family is brutally murdered by Templars. His journey of revenge pits him against the ruling Borgia family and even the Pope (who, of course, were all Templars too). Eventually he grows old and sets about researching Altaïr’s legacy, before putting down roots and starting a family of his own. His very final days are revealed in the rather touching animated short Embers, which totally did not make me tear up.

What happened after Ezio?

After Ezio the series moved on to Colonial America, and a couple of stories about several generations of the Kenway family and their legacy. Assassin’s Creed 3 followed Connor Kenway, a half-Native American Assassin stuck in the middle of the British and American sides of the US Revolutionary War. He has a really horrible life and he has to sit through a lot of US politics, which sucked for him. He also had a Templar father, named Haytham, who was a lot more interesting and was pretty much responsible for killing off the entire US branch of Assassins until Connor rebuilt them. Then, after that, there was Assassin’s Creed 4: Black Flag –

The pirate one!

You played as Edward Kenway, Connor’s grandfather, got to meet Blackbeard and sail around the Caribbean. Ostensibly the game’s story was about searching for an Isu temple named the Observatory, which allowed you to spy on anyone if you had a sample of their blood – sort of like hacking their webcam. But players spent most of their time being a pirate and kicking open chests full of treasure.

There was also AC: Rogue, which tells the story of an Assassin turned Templar named Shay Cormac. It fills backstory between AC3 and AC4, and also – along with one of the series’ novels, Forsaken – includes lots more story on Haytham – enough that you wish there was a game centred around him rather than Unity’s Arno.

Unity was the game no one liked, right?

Unity did not get a warm reception, no. Helpfully for our purposes it is mostly standalone, so ignorable. In its historical parts you played as an Assassin named Arno Dorian in French Revolution-era Paris who loved a Templar, Elise. It didn’t end well. Unity’s follow-up Syndicate, which had cockney Assassins fighting off the Templars in Victorian London, was a lot better though. You got to poke around the ancestral home of the Kenways and see the Assassins in their most modern day setting yet, including fighting Nazis with Churchill in a WW2 flashforward. It even gave us an update on the modern day Assassins, who after Desmond’s death were still fighting Templars for those Pieces of Eden.

Are there any other games or books worth playing?

Assassin’s Creed 3: Liberation is pretty fun – it launched originally for Vita, and then later for PC, PS3 and Xbox 360. It lets you explore Colonial New Orleans as Aveline de Grandpré, the series’ first female protagonist, in a story that overlaps slightly with the main AC3.

There’s also a couple of graphic novels worth reading – The Fall and The Chain, which are set in the Russian Revolution, and Brahman, set in India. Both feature minor characters which later pop up in the main game series, but nothing which demands prior knowledge.

Finally, there’s an ongoing series with modern day Assassin adventures which has revealed Desmond fathered a son before getting killed off. It’s unknown if this son will play a part in any future game storyline, though.

And the Michael Fassbender film?

It happened. And it is, apparently, getting a sequel.

Okay, I’m ready for Assassin’s Creed Origins.

Lovely stuff. Our review is live right now – or for more backstory, you can read our ranking of the Assassin’s Creed series.